(approfondimento a cura del prof. Ignazio Francesco Ciappa)
Approfondiamo la conoscenza della Chiesa di Santa Ninfa (per tornare alla pagina con le informazioni generali clicca quì) fermandoci al centro del transetto. Osserviamo in particolare il lato sinistro dove è il grande cappellone dedicato a S. Camillo de Lellis. 10
Questo, originariamente dedicato al lombardo S.Carlo Borromeo, a seguito della canonizzazione del Santo dei Camilliani e della sua proclamazione a co-patrono della città di Palermo, nel 1742, fu ornato di un altare di legno stuccato a finto marmo, (foto a sin.) costituito da due registri.
Nel disegno della parte sommitale è simile alla struttura delle cantorie e dell’organo della chiesa romana di S. Maria Maddalena, sede dei Crociferi a Roma, (foto in alto a destra) che furono realizzati appena due anni prima, nel 1740, in legno dorato e statue allegoriche in stucco.
Il primo registro dell’altare è caratterizzato da quattro colonne composite ai fianchi della pala d’altare che sfonda in alto la trabeazione. Sull’estradosso della trabeazione sono due figure allegoriche: quella di sinistra, rappresenta la Carità che accudisce un bimbo mentre con la mano sinistra tiene un cuore simbolo della Fede, alla sua destra un putto alato regge una corona di fiori simbolo della Speranza. La figura di destra tiene in mano un ramoscello di quercia, simbolo di saggezza e forza, e ha al suo fianco un’aquila che indica la regalità, la tendenza a librarsi verso l’alto, quindi la volontà diavvicinarsi a Dio. A destra un putto alato regge in mano un ramoscello fiorito, simbolo dell’anima immortale e delle virtù del Santo. Nel secondo registro due putti alati spingono in alto uno stemma con al centro la croce, emblema dei Crociferi. Il secondo ordine è terminato in alto da una cornice mistilinea affiancata da quattro vasoni.
Al centro, sull’altare è una pala, forse opera coeva di Gaspare Serenario che raffigura S. Camillo che ascende al cielo. Il Santo, che indossa un’ampia tunica con sul petto la croce latina rossa, simbolo dei Crociferi, apre le braccia e volge gli occhi al cielo affidandosi a Dio.
Appare circondato da nuvole e quasi sospinto da putti festanti, due dei quali sulla sinistra reggono l’uno una fiaccola simbolo dell’amore spirituale, l’altro un volume le cui pagine aperte alludono alla Regola dei Ministri degli infermi. Nella parte bassa dell’altare dentro una teca sono poste, alcune reliquie del santo fondatore dell’Ordine dei Crociferi e un busto in cera ricavato subito dopo la sua morte.
La Cappella del Crocifisso 11 può essere considerata forse la più importante, a giudicare dallo stemma araldico dei Marassi Drago (vedi notizie sul casato) che, unico, campeggia sull’arcone di passaggio dalla navata alla cappella stessa.
Sopra l’altare in marmi policromi dal semplice disegno, si erge uno splendido Crocifisso ligneo in stile barocco. L’affresco di un paesaggio agreste al tramonto fa da sfondo oltre che alla Croce, alle statue in stucco di S. Giovanni Evangelista, della Maddalena e di Maria, di Giacomo Serpotta . Queste risalgono al terzo decennio del XVIII sec. come si ricava dallo stile ormai maturo del maestro che, contemporaneamente, stava realizzando le grandi statue nella vicina chiesa di Sant’Agostino.
L’opera del Serpotta che riprende il tema già affrontato, in marmo, nella Cattedrale di Palermo, dal padre Gaspare nel 1664, colpisce per la raffinatezza esecutiva, la semplicità dei gesti e delle pose che esprimono un dolore misurato, come quello della Maddalena che fisicamente abbraccia la Croce.
Sul gruppo scultoreo, racchiuso in una cornice affiancata da due putti che reggono i simboli della passione è un dipinto, quasi illeggibile, che rappresenta Dio Padre.
Al centro della cappella, a pavimento, è la lapide (1690) (foto a sin.) a marmi mischi che chiude la cripta della famiglia di G. B. Marassi che ottenne lo Jus patronale per la stessa cappella.
Alla parete destra due interessanti monumenti funebri in marmi policromi. A sinistra dell’arco di comunicazione quello di G.B. Marassi, il capostipite, morto l’11.11.1696. L’ideazione spetta a Paolo
Amato, (vedi biografia) la realizzazione alla bottega degli Scuto. Già nel 1691, Gerardo Scuto insieme al Serpotta aveva scolpito all’interno della chiesa di S. Domenico il monumento sepolcrale di Don Giovanni Ramondetta (foto a destra), ideato probabilmente dall’Amato.
Bisogna comunque sottolineare che esistono differenze tra i due monumenti in quanto quello di Santa Ninfa appare, pur se meno imponente nelle dimensioni, più ricco dal punto di vista decorativo e simbolico. Le maggiori somiglianze si riscontrano nei ritratti dei due defunti (opera del Serpotta?).
L’attribuzione del disegno a Paolo Amato è avvalorata nel monumento di G. B. Marassi, dalla presenza di una ricca simbologia e dalla raffinatezza nell’uso dei marmi mischi.
Riguardo alla simbologia basta ricordare l’uso delle colonne tortili “alla Salomona”, adoperate dallo stesso Amato in portali e apparati, primo tra tutti quello per l’altare maggiore della cattedrale di Palermo (1686), oltre che come simbolo di sapienza salomonica, come espressione di fortezza e magnanimità.
Ancora più evidente, la presenza al centro del monumento funebre di una ruota a otto raggi (le otto direzioni dello spazio), simbolo solare e riferimento al carro di Apollo, ma anche alla ciclicità della vita, “al mondo del divenire, della creazione continua, dunque della contingenza e del perituro”.
Tale simbologia è ulteriormente rafforzata dalla presenza, alla base delle due colonne tortili, del sole e della luna (ciclo luce-tenebre, vita-morte, rinascita), e di due tondi con il leone e l’aquila oltre che di tutta una serie di figure ghignanti e “ibridi amatiani” (tipici di P. Amato) simboleggianti il mistero del trapasso e la doppia valenza (tipicamente barocca) di funerale e pompa trionfale, tristezza e festa. In prossimità dei due capitelli, due aquile (per la simbologia vale quanto detto in precedenza) tengono con il becco, quella di destra spighe, quella di sinistra un mazzetto di fiori. Le spighe sono l’attributo dell’estate, di Cerere, che era rappresentata con un mazzo di spighe in mano e di Osiride, il dio sole morto e resuscitato. La spiga contiene il grano che muore, sia per nutrire, sia per germinare. Il ramoscello fiorito è simbolo dell’anima immortale e delle virtù del defunto.
Infine in cima al monumento al centro del timpano curvilineo, oltre il busto del defunto affiancato da erme dal volto coperto in segno di lutto, una conchiglia riprende l’idea della morte, ma nello stesso tempo quella della nascita (Venere nasce da una conchiglia, la conchiglia vive nel suo elemento naturale, l’acqua) e quindi di resurrezione.
Riguardo alla ricercatezza nell’uso dei marmi mischi (si guardi il drappo posto a fondale della parte centrale del monumento) si può fare riferimento all’altare del Crocifisso all’interno della chiesa del SS. Salvatore (1682 ca.) (foto a destra) o a quello di S. Lucia nella chiesa di S. Maria di Valverde (1695ca.) (foto a sin.).
Purtroppo alla buona conservazione del sepolcro si contrappone l’illeggibilità della lapide commemorativa posta in basso tra i due putti.
A destra dell’arco di comunicazione, troviamo il monumento a Geronimo Marassi Drago barone di Fontana Salsa, dall’elegante disegno rococò, scolpito nel 1743.
L’epigrafe in basso, tradotta, recita:
A GIROLAMO MARASSI DRAGO PARISI E COLNAGO DUCA DI PIETRATAGLIATA BARONE DI FONTANA SALSA E CAMETRICE, AL PADRE DI FAMIGLIA PIO PREVIDENTE SOLERTE ESIMIO VENERATORE DELLA VERGINE CASTA DEFUNTO NEL GIORNO STESSO DELLA VERGINE PURIFICATA NELL’ANNO 1742 GIOVAN BATTISTA MARASSI E NASELLI IL PIÙ ANZIANO DEI FIGLI ERESSE ALL’AFFETTUOSISSIMO PADRE. NEL QUINTO GIORNO DALLE CALENDE DI FEBBRAIO DELL’ANNO 1743.
In alto oltre allo stemma araldico dei Marassi Drago Parisi Colnago (foto a destra), all’interno di un ovale, il ritratto del defunto dalla spiccata caratterizzazione fisiognomica.
Tra gli elementi simbolici, oltre le conchiglie e i fiori di cui si è già detto, interessanti i due turiboli che spandono il fumo dell’incenso, riferimento alle preghiere che s’innalzano a Dio ma anche del distacco dell’anima dal corpo. Sull’arco di comunicazione L’adorazione del serpente di bronzo, affresco tardo seicentesco ormai quasi illeggibile e uno stemma dei Marassi Drago Parisi.
Alla parete sinistra della cappella del Crocifisso, un medaglione marmoreo con il ritratto di Tommaso Santoro (1752) (foto in basso a sin.), è sovrapposto ad una epigrafe che tradotta recita:
Tommaso Santoro Coriario di animo eccezionale, esempio di straordinaria carità, figlio affettuosissimo, amò questa chiesa come una madre, arricchì con sacrifici di continue messe (per sei anni?). Padre assai benefico lasciò una dote ogni anno alle fanciulle in età da marito. Uomo veramente egregio e affinchè non si eclissasse il ricordo di un così grande uomo come testimonianza di un animo ossequioso questo marmo si preoccuparono che fosse eretto i suoi eredi fiduciari.
Il Reverendissimo S.T. D.D. Andrea Giangatto parroco e il Reverendo Sacerdote Don Vincenzo Santoro suo nipote da parte del fratello posero.
Il Reverendissimo S.T. D.D. Carlo Mineo parroco successore e Antonino Santoro, un altro nipote eredi fiduciari successivi nell’anno del Signore 1752
Alla destra dell’arco di comunicazione con la cappella della Madonna della Salute è una piccola edicola in legno stuccata a finto marmo.
Si passa quindi alla Cappella della Madonna della Salute già dei SS. Liberale ed Evanzia 12.
I dipinti a fresco dei due Santi (foto a sin. S. Liberale, a destra S.Evanzia) sono negli archi di comunicazione. Ai lati dell'altare due rigide statue allegoriche della Giustizia (foto in basso a sin.) e della Penitenza, di probabile scuola serpottiana, si ispirano alle, qualitativamente ben diverse, Allegorie dell’oratorio del Rosario in San Domenico. Al posto dell’originaria pala d’altare troviamo oggi una riproduzione (sec. XX) di una tavola lignea rappresentante la Madonna della Salute conservata nella Chiesa di S. Maria Maddalena, sede della Casa dei Crociferi di Roma.
La successiva Cappella di S. Rosalia o di S. Filippo Neri 13 presenta sugli archi di comunicazione gli affreschi (1769 ca.) di Alessandro D'Anna che raffigurano S. Filippo Neri in gloria a destra e S. Maria Maddalena penitente a sinistra.
Segue la piccola cappella neoclassica originariamente passante per chi accedeva alla chiesa dal portale di sinistra, e oggi dedicata all’adorazione del SS. Sacramento. Almeno fino agli anni sessanta del XX sec. ospitava una fonte battesimale in marmo del 1601.
In fondo alla navata nella controfacciata, a destra è collocato il neoclassico (1811) monumento funebre 14 (foto in basso a sin.) dell’inglese John Acton (vedi biografia).
È composto da un’edicola marmorea posta su due mensole, costituita da due lesene ornate da motivi a candelabra terminate da capitelli compositi che reggono una trabeazione sormontata da un “morbido” timpano formato da girali di foglie d’acanto e concluso da una palmetta.
Le due lesene serrano il sarcofago, timpanato, sul quale sono raffigurate due sfingi alate dal volto femminile. Al centro è rappresentato un mazzetto di spighe con un papavero.
Si è già accennato alla simbologia delle spighe; il papavero, invece, era l’attributo di Demetra e rappresenta la terra ma soprattutto la forza del sonno e dell’oblio che si impadronisce degli uomini dopo la morte e prima della nascita.
La presenza di nastri, sia alla base del mazzolino che sul timpano-coperchio del sarcofago, che formano nodi indicano la partecipazione all’immortalità, alla perfezione, all’azione generosa, eroica. La corona allude ai trionfi militari e alle virtù del defunto. Sopra il sarcofago all’interno di un ovale il ritratto del defunto tra armi, scudi e stendardi è posto su un piedistallo che nasconde la sagoma di due navi romane, riferimento alle imprese navali del defunto. Serrata tra le mensole che reggono l’edicola è l’iscrizione che tradotta recita:
QUI GIACE J. ACTON SIGNORE (epiteto di persona potente) DI INGHILTERRA VERAMENTE PADRE DEGLI INDIGENTI, MORÌ IL GIORNO PRIMA DELLE IDI DI AGOSTO DELL’ANNO DEL SIGNORE 1811 A 75 ANNI DI ETÀ.
S.Camillo De Lellis |
Tutte le foto sono di I. F. Ciappa .
Per la traduzione delle epigrafi si ringrazia M. S. Ciappa.
Si ricorda che è vietata la riproduzione e l'utilizzo di parti del testo e delle foto senza che se ne citi l'origine.
Gli artisti (biografie)
Giacomo Amato
Architetto, appartenente all'Ordine dei ministri degli infermi come fratello laico, nacque nel 1643 a Palermo, dove iniziò gli studi con l'omonimo architetto Paolo Amato di Ciminna. Intorno al 1671 si trasferì a Roma, lavorando con l'architetto Carlo Bizzaccheri alla nuova Chiesa di S. Maria Maddalena dei Crociferi. Tornò in patria nel 1685, determinando una svolta nell'architettura locale con l'introduzione della corrente c1assicista del Seicento romano. A lui si devono le Chiese di Santa Teresa alla Kalsa, di S. Maria della Pietà (prospetto) e di S. Rosalia (distrutta per la realizzazione della via Roma). Gli si attribuiscono anche la Chiesa di S. Mattia dei Crociferi, i disegni del Coro e una scala a chiocciola nella Chiesa di S. Agostino. Nel 1699 firmò il disegno per la decorazione a stucco dell'altare dell'Oratorio di San Lorenzo eseguita da Giacomo Serpotta e, un anno più tardi, diresse i lavori della decorazione a stucco per le cappelle del Crocifisso e di San Francesco, realizzate da Giuseppe Serpotta nella Chiesa delle Stimmate (abbattuta per la costruzione del Teatro Massimo). Giacomo Amato morì nel 1723. Il suo corpo è sepolto nella Chiesa di S. Ninfa dei Crociferi.
Paolo Amato
Nacque a Ciminna il 24 gennaio 1634. Si recò da giovane a Palermo, come il fratello maggiore Vincenzo, per studiare nel seminario arcivescovile e farsi prete. Ma possedendo una propensione per gli studi di matematica e d'architettura, decise di non abbandonarli affermandosi in quel campo tanto da acquisirne il primato nella città di Palermo. Studiò gli antichi e gli autori classici d'architettura, oltre che la matematica, la fisica e l'ottica. Dopo il 1701, ritenendo che fino ad allora pochi si fossero dedicati alla teoria della prospettiva scrisse un trattato, basato sulla matematica, dal titolo: “La Nuova Pratica di Prospettiva, nella quale si spiegano alcune nuove opinioni e la Regola Universale di disegnare in qualunque superficie qualsivoglia oggetto. Opera utile e necessaria ai Pittori, Architetti, Scultori e Professeri del disegno”.
In questa opera venivano esposte tecniche grafiche innovative e apprezzate dagli specialisti, partendo dal’enunciazione di alcuni principi teorici di geometria necessari alla pratica della prospettiva, per poi passare ad esporre la maniera di disegnare piante e profili di solidi, di superficie inclinate, concave, convesse, sempre più complesse. L’editore Vincenzo Toscano cominciò a stampare l’opera a Palermo nel 1714, grazie anche all’appoggio di amici autorevoli dell’Amato quali Pietro Papaleo scultore ed architetto palermitano, dimorante a Roma, il Canonico Antonino Mongitore, storico siciliano, D. Michele del Giudice, abbate Cassinese, D. Francesco Marchese, canonico della cattedrale di Palermo, ed altri. Fu finita di stampare nel 1733 presso l'editore Onofrio Gramignani quando già l’autore era morto da 19 anni. Ebbe come allievi della sua scuola di disegno e architettura D. Gaetano Lazzara e D. Carlo Infantolino. Tra le opere di architettura si ricordano nella cattedrale di Palermo: l’apparato scultoreo in marmi mischi nella cappella della Madonna Libera Inferni per Mons. D. Giacomo Palafox nel 1684; il sepolcro dell'Arcivescovo di Palermo D. Giovanni Lozano, in marmi mischi del 1672; il mausoleo di D. Ferdinando Bazan, Arcivescovo di Palermo, realizzato nel 1702 in marmi policromi, e ornamentazioni in marmo per la cappella del SS. Crocifisso. Per il senato palermitano disegnò il teatro della musica fuori Porta Felice nel 1681, la Fontana del Garraffo (1689); la lapide per l’incoronazione di Vittorio Amedeo, avvenuta a Palermo il 24 dicembre 1713, riccamente ornata e collocata nella facciata settentrionale del Palazzo Pretorio. Nella chiesa di S.Maria di Valverde le cappelle di S. Lucia e della Madonna del Carmine in marmi mischi, (1695-1700). Progettò la chiesa del SS. Salvatore nel 1682; la Chiesa dell'Ospedale dei Sacerdoti al Papireto nel 1697; il cappellone della Compagnia del sangue e volto di Cristo; la facciata della chiesa del Monastero di S.Giuliano nel 1679 in pietra da taglio, oggi distrutta a seguito della costruzione del Teatro Massimo e la facciata del parlatorio dei Sett'Angeli (anch’essa distrutta). Fuori Palermo modellò la sontuosa cappella del SS. Crocifisso nella cattedrale di Monreale, per incarico di Mons. D. Giovanni Roano Arcivescovo di quella città, e la chiesa del SS. Crocifisso in Ciminna. Progettò inoltre apparati e altari sontuosi in occasione di feste solenni, quali ad esempio l’ingresso dei viceré a Palermo, ma anche magnifici mausolei per regi funerali, come furono quelli del re Filippo IV nel 1666, del re Carlo II, di Ludovico Borbone, Delfino di Francia nel 1711, tutti celebrati nella cattedrale di Palermo, e di D. Teresa La Cerda, Marchesa di Solerà, nella real cappella di S. Pietro.
Per 42 anni fu impegnato a disegnare i diversi carri trionfali e le macchine dei fuochi artificiali per il ”festino” di S. Rosalia. Il 22 agosto 1686 fu nominato ingegnere ed architetto dal Senato Palermitano e ottenne la cittadinanza palermitana. Nel 1701 iniziò la costruzione del convento attiguo alla Chiesa di San Francesco d'Assisi. Nel 1707 costruì la ”machina” che fu posta presso la Chiesa di San Ciro. Morì all’età di 80 anni, il 3 luglio 1714. Ebbe solenni esequie e fu sepolto per sua disposizione nella chiesa dei Crociferi dentro la stessa tomba, ove riposavano i resti del fratello Vincenzo e della madre, e sulla quale fu scolpito in marmo il seguente epitaffio: “Musices, et Architectonicae peritissimos, fratres D. Vincentium, et D. Paulum Amato hic iacentes, et ipsa iacens deflet Mathesis, plorantem sublevat Lauria Amato eorum Mater: Quae etenim in felici urbe ad Cantorum, et Geometriae praefecturam ipsos genuit, pietati, et Sacerdotio cum eosdem educasse!, beatae Patriae armonicam, et opticam ideam ediscere a filiis benem. magistram adhortatur, Obiit D. Vincentius Amato 29. lui. ann. 1670, aetatis 42.
Lauria Mater 27 lan. an. 1672. aetatis 72.
D. Paulus vero 3. lui. 1714 aetatis 80”.
G.Amato (tratto da Wikipedia) |
Paolo Amato
Nacque a Ciminna il 24 gennaio 1634. Si recò da giovane a Palermo, come il fratello maggiore Vincenzo, per studiare nel seminario arcivescovile e farsi prete. Ma possedendo una propensione per gli studi di matematica e d'architettura, decise di non abbandonarli affermandosi in quel campo tanto da acquisirne il primato nella città di Palermo. Studiò gli antichi e gli autori classici d'architettura, oltre che la matematica, la fisica e l'ottica. Dopo il 1701, ritenendo che fino ad allora pochi si fossero dedicati alla teoria della prospettiva scrisse un trattato, basato sulla matematica, dal titolo: “La Nuova Pratica di Prospettiva, nella quale si spiegano alcune nuove opinioni e la Regola Universale di disegnare in qualunque superficie qualsivoglia oggetto. Opera utile e necessaria ai Pittori, Architetti, Scultori e Professeri del disegno”.
In questa opera venivano esposte tecniche grafiche innovative e apprezzate dagli specialisti, partendo dal’enunciazione di alcuni principi teorici di geometria necessari alla pratica della prospettiva, per poi passare ad esporre la maniera di disegnare piante e profili di solidi, di superficie inclinate, concave, convesse, sempre più complesse. L’editore Vincenzo Toscano cominciò a stampare l’opera a Palermo nel 1714, grazie anche all’appoggio di amici autorevoli dell’Amato quali Pietro Papaleo scultore ed architetto palermitano, dimorante a Roma, il Canonico Antonino Mongitore, storico siciliano, D. Michele del Giudice, abbate Cassinese, D. Francesco Marchese, canonico della cattedrale di Palermo, ed altri. Fu finita di stampare nel 1733 presso l'editore Onofrio Gramignani quando già l’autore era morto da 19 anni. Ebbe come allievi della sua scuola di disegno e architettura D. Gaetano Lazzara e D. Carlo Infantolino. Tra le opere di architettura si ricordano nella cattedrale di Palermo: l’apparato scultoreo in marmi mischi nella cappella della Madonna Libera Inferni per Mons. D. Giacomo Palafox nel 1684; il sepolcro dell'Arcivescovo di Palermo D. Giovanni Lozano, in marmi mischi del 1672; il mausoleo di D. Ferdinando Bazan, Arcivescovo di Palermo, realizzato nel 1702 in marmi policromi, e ornamentazioni in marmo per la cappella del SS. Crocifisso. Per il senato palermitano disegnò il teatro della musica fuori Porta Felice nel 1681, la Fontana del Garraffo (1689); la lapide per l’incoronazione di Vittorio Amedeo, avvenuta a Palermo il 24 dicembre 1713, riccamente ornata e collocata nella facciata settentrionale del Palazzo Pretorio. Nella chiesa di S.Maria di Valverde le cappelle di S. Lucia e della Madonna del Carmine in marmi mischi, (1695-1700). Progettò la chiesa del SS. Salvatore nel 1682; la Chiesa dell'Ospedale dei Sacerdoti al Papireto nel 1697; il cappellone della Compagnia del sangue e volto di Cristo; la facciata della chiesa del Monastero di S.Giuliano nel 1679 in pietra da taglio, oggi distrutta a seguito della costruzione del Teatro Massimo e la facciata del parlatorio dei Sett'Angeli (anch’essa distrutta). Fuori Palermo modellò la sontuosa cappella del SS. Crocifisso nella cattedrale di Monreale, per incarico di Mons. D. Giovanni Roano Arcivescovo di quella città, e la chiesa del SS. Crocifisso in Ciminna. Progettò inoltre apparati e altari sontuosi in occasione di feste solenni, quali ad esempio l’ingresso dei viceré a Palermo, ma anche magnifici mausolei per regi funerali, come furono quelli del re Filippo IV nel 1666, del re Carlo II, di Ludovico Borbone, Delfino di Francia nel 1711, tutti celebrati nella cattedrale di Palermo, e di D. Teresa La Cerda, Marchesa di Solerà, nella real cappella di S. Pietro.
Per 42 anni fu impegnato a disegnare i diversi carri trionfali e le macchine dei fuochi artificiali per il ”festino” di S. Rosalia. Il 22 agosto 1686 fu nominato ingegnere ed architetto dal Senato Palermitano e ottenne la cittadinanza palermitana. Nel 1701 iniziò la costruzione del convento attiguo alla Chiesa di San Francesco d'Assisi. Nel 1707 costruì la ”machina” che fu posta presso la Chiesa di San Ciro. Morì all’età di 80 anni, il 3 luglio 1714. Ebbe solenni esequie e fu sepolto per sua disposizione nella chiesa dei Crociferi dentro la stessa tomba, ove riposavano i resti del fratello Vincenzo e della madre, e sulla quale fu scolpito in marmo il seguente epitaffio: “Musices, et Architectonicae peritissimos, fratres D. Vincentium, et D. Paulum Amato hic iacentes, et ipsa iacens deflet Mathesis, plorantem sublevat Lauria Amato eorum Mater: Quae etenim in felici urbe ad Cantorum, et Geometriae praefecturam ipsos genuit, pietati, et Sacerdotio cum eosdem educasse!, beatae Patriae armonicam, et opticam ideam ediscere a filiis benem. magistram adhortatur, Obiit D. Vincentius Amato 29. lui. ann. 1670, aetatis 42.
Lauria Mater 27 lan. an. 1672. aetatis 72.
D. Paulus vero 3. lui. 1714 aetatis 80”.
Gaspare Firriolo
Stuccatore formatosi alla scuola dei Serpotta e attivo a Palermo nella seconda metà del XVIII secolo.
Appartenente a una famiglia di artisti artigiani, era fratello minore di Giuseppe, anch'egli valente stuccatore. Inizialmente collaborò con il suocero Procopio Serpotta. Con questi, in particolare, lavorò agli stucchi della Chiesa dei Tre Re e, con ogni probabilità, nell'Oratorio di S. Caterina d'Alessandria. Realizzò il Martirio di Santa Ninfa posto sul portale principale dell'omonima Chiesa dei Crociferi. Gli vengono attribuite la Gloria sull'Altare maggiore della Chiesa di S. Ignazio Martire e la Gloria della Chiesa di S. Matteo. Sono suoi gli stucchi a motivi fitomorfi del Gymnasium dell'Orto Botanico di Palermo e le statue raffiguranti le quattro stagioni sul coronamento dell'edificio di Leon Dufourny.
Gaspare La Farina
Scultore, con il Sulfarello realizzò i decori a stucco per le Cappelle del transetto di S. Ninfa e di S. Carlo Borromeo nella chiesa di S.Ninfa dei Crociferi. Il La Farina scomparve prima di terminare l'opera, ma anche per Sulfarello si tratta dell'ultimo lavoro documentato.
Gioacchino Martorana
Nato nel 1735 venne introdotto nella cerchia romana del Conca dall'incisore Giuseppe Vasi, allievo del padre Pietro, anch'egli pittore e originario di Nicosia. In seguito sempre il Vasi lo indirizzò alla scuola del Benefial. Il soggiorno romano del Martorana, che in quel periodo sposò Caterina Vasi, figlia dell'artista corleonese, durò con brevi parentesi fino ai primi anni Sessanta. Quindi si stabilì definitivamente a Palermo. Il corpus delle sue opere è molto vasto. Fu un artista di grande successo. Oltre a numerose commissioni di tele e pale d'altare, realizzò cicli d'affreschi per chiese ed aristocratici palazzi. Fra questi ricordiamo L’Allegoria del vero Amore del gran salone di palazzo Comitini, sede della Provincia regionale di Palermo, che dal Martorana prende il nome. Eseguì inoltre il ciclo decorativo della Chiesa di S. Ninfa dei Crociferi e la pala d'altare raffigurante Le Vergini palermitane al cospetto della Trinità, considerata fra i suoi capolavori. Ancora decorò i saloni dei palazzi del marchese Natoli di Ramondetta, del marchese di Santa Margherita, del marchese Costantino, del marchese di S. Croce e Bordonaro. Morì a quarantaquattro anni nel 1779 per una polmonite. I figli Pietro ed Ermenegildo lo affiancarono nel suo lavoro.
Ermenegildo, morto a Palermo nel 1820, collaborò col padre alla decorazione del Palazzo Municipale di Piazza Armerina e alla realizzazione delle pale d'altare per la Chiesa dell'Albergo dei poveri. Gli viene attribuita la Trinità con i SS. Marta e Lorenzo di S. Carlo dei Lombardi. È di sua mano la decorazione del palazzo Beneventano e gli affreschi con le Virtù nella Chiesa di S. Spirito a Siracusa. Gli vengono assegnati anche degli affreschi nella Chiesa Madre di Avola. Pietro sposò la figlia di Vito D'Anna. Fu un abile acquerellista e un noto vedutista. Soggiornò a lungo a Napoli. Morì nel 1797.
Giuseppe Venanzio Marvuglia
Illustre architetto nato nel 1729, autore di numerosi e significativi interventi condotti secondo una personale interpretazione del neoclassicismo architettonico. Figlio del capomastro Simone attivo a Palermo nella prima parte del XVIII secolo, Giuseppe Venanzio soggiornò a Roma per oltre dieci anni, dedicandosi allo studio dell'antichità classica e dell'architettura cinquecentesca. Fra le tante opere da lui realizzate ricordiamo l'Oratorio di San Filippo Neri, adiacente alla Chiesa dell'Olivella, la volta della Chiesa di S. Ignazio all'Olivella, lo scalone del Monastero di S. Martino delle Scale, realizzato nell'ambito dei lavori di ampliamento del complesso, la ristrutturazione di palazzo Geraci, i progetti e gli interventi sui palazzi Belmonte-Riso, Galati, Notarbartolo di Villarosa a piazza Regalmici, Coglitore, Costantini, Federico, la villa Belmonte all'Acquasanta e quella Villarosa a Bagheria. Nella sua qualità di architetto dei Real siti di campagna, ideò la Reggia di Ficuzza e la Casina cinese alla Favorita.
A lui si devono la definizione formale di piazza Regalmici e il prolungamento della via Maqueda. Diresse, assieme a Salvatore Attinelli, i lavori di restauro della Cattedrale sulla base dell'originario progetto del Fuga e subentrò a Orazio Furetto nei lavori per l'Albergo dei poveri. Fu docente di architettura civile dell'Accademia degli studi. Nel 1789 venne eletto architetto del Senato. Su proposta di Léon Dufourny fu nominato socio straniero della classe di Belle arti dell'Istituto di Francia. Oltre a svolgere l'attività di progettista, fu anche consulente delle più importanti famiglie palermitane, fra cui la casa Valdina. In particolare, assistette all'inizio dell'Ottocento il principe di Valdina nella lunga controversia che l'oppose alle monache dell'Origlione, il cui monastero era vicino al palazzo della famiglia in via del Protonotaro. Morì a Palermo nel 1814. Il Marvuglia lavorò ad alcuni progetti (palazzetto Coglitore e la Chiesa di S. Francesco di Sales), col fratello Salvatore, sacerdote, matematico e, a sua volta, architetto morto nel 1802. Gli viene assegnata la trasformazione della Chiesa della Madonna del Lume, dove è sepolto. Alessandro Emanuele (1773-1845), invece, è figlio di Venanzio ed opera quale direttore dei lavori in molte delle architetture progettate dal padre. La villa Monroy di Pandolfina (Ranchibile) è l'unica opera interamente a lui attribuita. Successe al padre nella cattedra di architettura civile.
Pennino
Famiglia di scultori con bottega a Palermo. Giacomo, morto a oltre 100 anni, fu allievo di Serpotta. Attivo nel XVIII secolo, operò in varie Chiese palermitane. Il figlio Filippo, nacque nel 1733 e, secondo alcuni studiosi, mori nel 1794. La sua attività è documentata anche fuori Palermo. Fra l'altro eseguì un tritone per la fontana della Villa del Principe di Trabia. Gaetano, figlio di Filippo, morì a Roma. Eseguì col padre il fonte battesimale con Adamo ed Eva della Cattedrale di Palermo.
La data di quest'opera 1801 e, quindi, slitterebbe di qualche anno in avanti la morte di Filippo. L'altro figlio di questi Leonardo nacque nel 1765 e morì a Roma nel 1850. Inizialmente lavorò in bottega col padre e col fratello, risentendo dell'influenza esercitata dal Marabitti. Dopo il trasferimento nella città capitolina, tuttavia, continuò ad avere commissioni dalla Sicilia.
Perez
Stuccatori appartenenti alla cerchia serpottesca. Vittorio eseguì gli stucchi delle Cappelle di S. Anna e di S. Gioacchino a S. Giuseppe dei teatini (1718, non più esistenti). Probabilmente collaborò con Procopio Serpotta alla decorazione dell'Oratorio dell'lmmacolatella. Lavorò alla decorazione del SS. Salvatore, sotto la guida di Giovan Maria Serpotta. Salvatore lavorò alla decorazione della Chiesa di S. Antonino.
Serpotta
Giacomo Serpotta |
Fratello maggiore di Giacomo fu Giuseppe (1653-1719). I due fratelli collaborarono sempre e Giuseppe, sebbene ritenuto oggi inferiore a Giacomo, fu molto stimato dai contemporanei. Nessuno dei due si sposò, ma Giacomo ebbe un figlio naturale Procopio (Palermo 1679 - Caccamo 1755), che operò nel solco della sua ricerca. I due non ebbero rapporti facili, tanto che Procopio fu praticamente diseredato. Figlio di Procopio fu Giovan Maria, attivo in ambito palermitano sulla scia del padre e del nonno fino agli anni Sessanta del XVIII secolo. Si elencano di seguito le opere realizzate dai Serpotta.
ORATORIO DI S. MERCURIO - Piazza della Pinta, 10 – Giacomo Serpotta, 1678 (attribuiti).
CHIESA DELL’ITRIA -Piazza della Pinta - Giuseppe Serpotta, 1682 (attribuiti).
CHIESA DEL CARMINE MAGGIORE Piazza del Carmine, Altari del transetto, Giacomo e Gaspare Serpotta, 1683-84.
ORATORIO DEL ROSARIO DI S. CITA – Via Valverde – Giacomo Serpotta, 1685-1717.
CHIESA DI S. ORSOLA DEI NEGRI -Via Maqueda, Giacomo Serpotta, cappella delle Anime Purganti (1685-96); cappella di S. Orsola (1696).
COLLEGIO MASSIMO DEI GESUITI - Corso V. Emanuele -Giacomo Serpotta, statua della Vergine e nicchia nella scala, 1690.
CHIESA DI S. SEBASTIANO ALLA MARINA Via S. Sebastiano -Giacomo Serpotta, stucchi delle cappelle di S. Stefano, SS. Annunziata e S. Onofrio in S. Sebastiano alla Marina,1692.
CHIESA DELLA BADIA NUOVA - via Incoronazione – Giacomo Serpotta, stucchi del sottocoro, 1693 circa.
ORATORIO DEL CARMINELLO Via Porta S. Agata, 5 – Giacomo e Giuseppe Serpotta, 1694 -1700 (attribuiti).
ORATORIO DELL’INFERMERIA DEI SACERDOTI (CHIESA DEI SANTI PIETRO E PAOLO) Via Matteo Bonello, 6 – Giacomo Serpotta, altari di S. Ferdinando e S. Rosa nella nuova cappella dell’Infermeria dei Sacerdoti, 1698.
ORATORIO DI SAN LORENZO - Via Immacolatella – Giacomo Serpotta, 1699-1707-
ORATORIO DI S. GIUSEPPE DEI FALEGNAMI - Via Maqueda,172 ,Giuseppe Serpotta, 1701.
CHIESA DI S. TERESA A PORTA DEI GRECI Piazza Kalsa-Giuseppe e Procopio Serpotta, stucchi della volta, 1702.
CHIESA DI S. GIUSEPPE DEI TEATINI - Corso V. Emanuele -Giuseppe Serpotta, cappella di S. Gaetano e volta del transetto sinistro, 1708.
CHIESA DI CASA PROFESSA (O DEL GESU’ ) - Piazza Casa Professa - Giacomo e Procopio Serpotta, cappella dei SS. Martiri, 1704- Procopio Serpotta, stucchi della navata destra, 1704-1705;
stucchi della navata sinistra, 1711-1713.
CHIESA DELLA GANCIA ( S. MARIA DEGLI ANGELI ) – Via Alloro - Giacomo Serpotta, stucchi delle cappelle dello Sposalizio della Vergine e della Madonna di Guadalupe, 1706. c.
ORATORIO DEL ROSARIO IN S. DOMENICO -Via Bambinai- Giacomo Serpotta, 1707-17.
CHIESA DELLA PIETA’ - Via Torremuzza - Giacomo, Giuseppe e Procopio Serpotta, stucchi della volta della navata, 1708 - Giovanni Maria Serpotta, stucchi del cappellone, 1755-56 Procopio Serpotta, coro , 1722-23.
CHIESA DI S. AGOSTINO - Via F. Raimondo – Giacomo Serpotta, 1711-1727.
CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI - Via Maqueda – Giacomo Serpotta, cappella del SS. Crocifisso 1720-30. Giacomo o Procopio Serpotta cappella di S.Venanzio.
CHIESA DELL’ASSUNTA - Via Maqueda - Giuseppe Serpotta, navata, 1715-1716 -Procopio Serpotta, figure femminili ai lati dell’abside, 1738 (attribuiti).
ORATORIO DI S. CATERINA D’ALESSANDRA ALL’OLIVELLA - Via Monteleone, 5, Procopio Serpotta, 1719-24.
CHIESA DI S. FRANCESCO D’ASSISI - Piazza S. Francesco d’Assisi, Giacomo Serpotta, statue allegoriche, 1725.
ORATORIO DELL’IMMACOLATELLA - Via Immacolatella -Procopio Serpotta 1725-26.
CHIESA DI S. CATERINA - Piazza Bellini - Procopio Serpotta, stucchi della volta del presbiterio e della navata, 1725-28.
CHIESA DI S. MATTEO - Corso V. Emanuele – Giacomo Serpotta, 1728-29.
CHIESA DI S. GIOACCHINO (COLLEGIO DI MARIA ALL’OLIVELLA) - Via Patania - Procopio Serpotta, cappellone, 1742.
ORATORIO DEL SABATO - Piazza Casa Professa – attribuito a Procopio Serpotta.
CHIESA DI S. GIOVANNI DEI NAPOLETANI (o S. GIOVANNI ALLA MARINA) - Corso V. Emanuele - Procopio Serpotta, cappelle di S. Gennaro e dell’Immacolata, 1745-46.
CHIESA DEI TRE RE - Via Montevergine ang. Via Celso-Procopio e Giovan Maria Serpotta, 1750-51.
ORATORIO DI S. STEFANO - Piazza Monte di Pietà, Giovanni Maria Serpotta, 1755 (decorazione in gran parte distrutta).
CHIESA DI S. MARIA LA NUOVA - Via Meli , Procopio Serpotta, decorazione del presbiterio 1754-55 (attribuito).
CHIESA DI S. DOMENICO - Piazza S. Domenico – Giovanni Maria Serpotta, facciata, 1755-57.
OPERE DI GIACOMO SERPOTTA FUORI PALERMO
AGRIGENTO – Chiesa di S. SPIRITO, 1694 (?)
ALCAMO – CHIESA DEI SS. COSMA E DAMIANO, 1722 – CHIESA DELLA BADIA NUOVA.
CASTELBUONO – CAPPELLA DI S. ANNA (attribuiti).
MONREALE – CHIESA DELLA MADONNA DELL’ITRIA, con Procopio De Ferrari , 1677 – COLLEGIATA, ABSIDE, 1723.
Andrea Sulfarello
Tra i più attivi stuccatori contemporanei a Giacomo Serpotta, Andrea Sulfarello nel 1679 eseguì la decorazione su disegno di Paolo Amato della Cappella di Santa Maria della Soledad. Collaborò con il La Farina e con il fratello Vito, appartenente alla cerchia degli aiuti di Gaspare Serpotta. Con il La Farina realizzò i decori a stucco per le Cappelle del transetto di S. Ninfa e di S. Carlo Borromeo. Il La Farina scomparve prima di terminare l'opera, ma anche per Sulfarello si tratta dell'ultimo lavoro documentato.
I personaggi illustri sepolti nella chiesa S. Ninfa
Sir John Francis Edward Acton VI Baronetto (Besancon, 3 giugno 1736- Palermo, 12 agosto 1811)
Politico inglese, fu ministro del Regno di Napoli durante il regno di Ferdinando I. Noto in Italia anche come Giovanni Acton o John Acton. Figlio di Edward Acton, un medico di Besançon, nel 1781 ereditò il titolo ed il patrimonio di suo cugino di terzo grado Sir Richard Acton V Baronetto di Aldenham Hall Shropshire. Entrò nella marina Francese, dopo poco tempo passò a quella del Granducato di Toscana e nel 1775 comandò una fregata nella spedizione congiunta spagnola e toscana contro Algeri, distinguendosi per coraggio e risorse. Nel 1778 la regina Maria Carolina di Napoli chiese a suo fratello il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di permettere ad Acton di recarsi a Napoli per riorganizzare la marina militare. Dimostrò grande abilità in questo compito ed entrò subito nelle grazie della regina, con la quale probabilmente ebbe anche una relazione intima. La regina Maria Carolina trovò in Acton un valido aiuto nella realizzazione del suo disegno di avvicinamento all'Austria (sua patria natale) e poi all'Inghilterra, nemica acerrima dell'odiata Francia rivoluzionaria. In pochissimo tempo divenne Ministro della Marina e della Guerra, nonostante le preoccupazioni della Spagna (il cui re Carlo II aveva preceduto il figlio Ferdinando I sul trono di Napoli) per l'amicizia tra Acton e l'ambasciatore britannico, Sir William Hamilton e la moglie di quest'ultimo Emma Hamilton, confidente della stessa regina. Dopo la rivoluzione Francese, in accordo con la nuova politica di conservatorismo e repressione dei regnanti, che lo nominarono Primo Ministro, divenne un accanito persecutore delle nuove idee giacobine. Nel dicembre del 1798, dopo la sconfitta dell'esercito napoletano che aveva invaso la Repubblica Romana, fuggì in Sicilia insieme al re ed alla regina, sul Vanguard di Orazio Nelson. Pochi mesi più tardi, al suo ritorno, partecipò attivamente alla sanguinosa repressione che seguì la rovina dell'effimera Repubblica Partenopea. Nel febbraio del 1806 i francesi tornarono a Napoli e lo costrinsero nuovamente a fuggire, con la famiglia reale, a Palermo, dove morì.
Famiglia Marassi
Fu portata da un Giovan Battista, nei primi anni della seconda metà del secolo XVII, in Palermo dove godette nobiltà, possedendo anche la ducea di Pietratagliata, le baronie di Misilcarari o Fontanasalsa, Camitrice, ecc. Un Biagio fu governatore della Tavola di Palermo nel 1698 e senatore di Palermo nell’anno 1699-1700; un Girolamo, con privilegio dato a 24 settembre esecutoriato a 6 novembre 1708, ottenne il titolo di duca di Pietratagliata (morì nel 1742); un altro Girolamo, duca di Pietratagliata, fu senatore di Palermo nell’anno 1784-85 e fu padre di Giovan Battista Marassi e Cottone, ultimo duca di Pietratagliata in casa Marassi. I Marassi si imparentarono con i Tarallo quando Maria Cirilla, secondogenita figlia del Marchese Tarallo d’Altamira sposò Girolamo Marassi duca di Pietratagliata. La primogenita Maria Cirilla Marassi e La Rocca, il 14.10.1818 sposò Luigi Alliata Moncada, terzogenito del Principe di Villafranca, dal matrimonio nacquero due figli, Fabrizio e Giovan Battista Alliata Marassi. Fabrizio Alliata e Marassi sposò la nobile Marianna Moncada dei principi di Paternò, dalla quale ebbe: Pietro duca di Pietratagliata, barone di Camitrice, e barone di Misilxarari o Fontanasalsa, marito della nobile Carolina Notarbartolo e Pignatelli e padre di Fabrizio e Giulia; Giovanni marito di Angela Pettini; Luigi marito di Bianca Notarbartolo e padre di Fabrizio ed altri; Ernesto; Cirilla; Teresa moglie del marchese Giuseppe Natoli e Maria moglie di Enrico Napoli.
Tra le proprietà dei Marassi figurava Palazzo Tarallo (ereditato da Cirilla Tarallo nel 1757) sito in via delle Pergole, oggi sede del Museo Pitrè e Palazzo Termine principe di Baucina, (rilevato dai Marassi nel 1749) oggi conosciuto come Palazzo Alliata Termine di Pietratagliata, sito in via Bandiera.
Arma: partito: nel primo troncato: a) d’oro, all’aquila al volo abbassato di nero, coronata del medesimo; b) d’oro, all’albero verde nodrito sovra la campagna al naturale; nel 2° di rosso, a tre spade manicate d’oro, 2 e 1 il manico in giù. (tratto da Nobiliario siciliano)
Vincenzo Amato
Nacque in Ciminna il 6 gennaio 1629 da Giandomenico e Laura Amato. Come il fratello minore Paolo si recò da giovane a Palermo per studiare nel seminario arcivescovile e farsi prete. Finito il corso degli studi, ottenne la laurea in Teologia. Ma si rese celebre e fece onore al suo paese grazie agli studi musicali. Nel 1656 pubblicò a Palermo alcuni lavori pregevolissimi, che sono giunti sino a noi: I Sacri concerti a 2, 3, 4 e 5 voci, con una messa a 3 e a 4 voci. Libro I. Opera I. Pan. apud Bisagnium 1656.
Una Messa e salmi di Vespro e Compieta a 4 e 5 voci. Libro I. Op. IL Ibid. 1656.
Musicò la Passione secondo S. Matteo e secondo S. Giovanni molto apprezzate dai contemporanei anche fuori dall’Italia. Per questi meriti, nell'anno 1665, fu eletto maestro di cappella nella cattedrale di Palermo. Diede un grande impulso alla musica sacra nel secolo XVII, addirittura anticipando più di mezzo secolo Johan Sebastian Bach, che nel 1729, fece eseguire, per la prima volta a Lipsia, la sua Passione secondo S. Matteo. Morì a Palermo il 29 luglio 1670 alla giovane età di 42 anni. Ebbe solenni esequie, alle quali intervennero il corpo di tutti i musici, il capitolo e il clero della cattedrale.
Bibliografia
A.Giuliana Alajmo-LA CHIESA DI S. NINFA DETTA DEI CROCIFERI-Palermo Scuola Grafica “Don Orione” 1964
J.Chevalier, A.Gheerbrant - Dizionario dei simboli- Bur dizionari Rizzoli Milano 1989
M.C. Ruggieri Tricoli-IL TEATRO E L’ALTARE PALIOTTI “D’ARCHITETTURA” IN SICILIA- Edizioni Grifo Palermo 1992
M.C. Ruggieri Tricoli-PAOLO AMATO LA CORONA E IL SERPENTE- STASS srl. Palermo 1983
P.Palazzotto-Sante e Patrone nelle chiese di Palermo-Officine Tipografiche Aiello & Provenzano Bagheria 2005.
P.Palazzotto-Palermo Guida agli oratori-Kalos Palermo 2004
De Seta, C, Spadaro M.A, Troisi S., Palermo Città d’arte, Palermo 2002
Il commento è molto favorevole per la ricchezza e la minuziosità delle informazioni sul monumento, le opere d'arte che lo decorano e gli artisti autori delle stesse.
RispondiEliminaMa in vero la consultazione del sito è nata in particolare per la ricerca di informazioni storiche sulla destinazione d'uso del Convento a sede del Comando Marina di Palermo dalla metà degli anni 30 alla fine degli anni 50 (da cui l' appellativo di "Palazzo Marina") e del locale Gruppo della Associazione Nazionale Marinai d'Italia dalla sua fondazione nel 1948 fino al 1996, come tuttora testimoniato dall'Ancora posta al centro del Chiostro, cimelio dell'Incrociatore A. Di Giussano, perduto nella battaglia di Capo Bon il 13 Dicembre 1941, nella quale persero la vita circa 900 marinai. Grato se dal vs portale, o dal più ampio circuito storico e culturale, potrò avere info più precise e circostanziate su quel periodo e quella destinazione.
Ing. Claudio Longo - Presidente ANMI Palermo - 337963311
perche Santa Ninfa si dice la santa degli infermi?
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