Il
testo che segue è tratto dai materiali utilizzati nell'anno 2008, in
occasione dell'"adozione" della Chiesa di S.Ninfa dei Crociferi, dagli
studenti del Liceo Classico "G.Garibaldi" di Palermo.
CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI
CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI
(a cura della prof. Lucia Palumbo)
La Palermo dei viceré
Pianta di Palermo di Matteo Florimi 1581 |
Tra
il 1415 e il 1712 la Sicilia è sotto il dominio spagnolo, ma gli
Asburgo di Spagna governano l’isola attraverso un proprio viceré che
risiede a Palermo; perciò Palermo si propone come una grande capitale e,
soprattutto negli ultimi anni del XVI secolo e nel corso di tutto il
XVII, i viceré, la Chiesa e la nobiltà locale promuovono una serie di
interventi urbanistici ed architettonici miranti a dare prestigio alla
città ed a razionalizzarne il disegno.
Nella metà del ‘500 la città conservava la trama viaria medievale, in cui il Cassaro (oggi corso Vittorio Emanuele) era l’asse centrale sin dall’iniziale insediamento fenicio. Fra il 1567 e il 1581 il Cassaro, che da allora all’unità d’Italia verrà chiamato via Toledo dal nome del viceré in carica, venne rettificato e prolungato sia a monte che a valle. La nuova via tagliava così nettamente in due parti la città ed assunse il carattere di asse direzionale lungo il quale si dislocavano le principali attrezzature urbane. Si costruirono anche due nuove porte ai suoi estremi: Porta Nuova, a sud-ovest, fu progettata nel 1569 e costruita a partire dal 1583; Porta Felice, a nord-est, prese il nome di donna Felice Orsini, moglie del viceré Marcantonio Colonna e fu realizzata tra il 1582 e il 1632.
Il 4 novembre 1597 il Senato Palermitano deliberò la costruzione della Strada Nuova o Maqueda (dal viceré Don Bernardino Cardines duca di Maqueda che il 24 luglio del 1600 diede il primo colpo di piccone); il nuovo asse tagliava ortogonalmente la via Toledo nella sua parte mediana, divideva così la città in “quattro nobili parti”, operando a Palermo una radicale ristrutturazione interna. Si tratta di un'operazione senza precedenti nell'Europa del '500 che richiede sventramenti di case, chiese, importanti monumenti, tagli di giardini e campi, riempimento di paludi, stagni, canali e vecchi alvei di fiumi, demolizioni a tappeto per oltre 1400 metri in piena città. Tuttavia i brutali sventramenti non costituirono un'occasione per rinnovare il sostrato urbano delle aree attraversate e riqualificare gli antichi spazi, che mantennero intatto il "disordine" medievale.
La costruzione dei Quattro Canti, avviata il 21 dicembre 1608 dal viceré don Juan Fernàndez Pacheco, marchese di Villena, e definitivamente completata nel 1663, nobilitò, con la sua sfarzosa teatralità, il nuovo crocevia dando origine – secondo le testimonianze del tempo – alla «più superba e beninteso fabbrica non pur nella nostra città; ma etiandio nell’Universo; tanto è mirabile e sopra ogni pensiero umano».
Il progetto iniziale, concepito con grande monumentalità dall’architetto fiorentino (o romano) Giulio Lasso, fu portato a compimento nel 1620 dal palermitano Mariano Smeriglio (1561 – 1636), ma le opere collaterali di fregi in stucco, statue e fontane, si protrassero almeno fino al 1663.
Le facciate concase dei quattro palazzi d’angolo sono caratterizzate, nell’ordine inferiore, da una fontana, che a sua volta richiama le quattro stagioni. L’ordine mediano, invece, raccoglie entro dei nicchioni le statue dei quattro ultimi sovrani di Spagna (Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV). Le statue marmoree delle sante patrone, infine, sono collocate entro altrettanti nicchioni del terzo ordine, fra vari fastigi e decori allegorici. La piazza fu intitolata al viceré Villena, ma fu detta con enfasi "Teatro del Sole".
Da ciascuno dei quattro Canti si dipartiva una nuova suddivisione territoriale ed amministrativa in altrettanti quartieri (detti mandamenti), ognuno dei quali prende nome da una delle quattro protettrici della città cui è dedicato o dalle strutture emergenti che ospitano: Santa Cristina (Mandamento Palazzo Reale o Albergheria), Santa Ninfa (Mandamento Monte di Pietà o Capo), Sant’Agata (Mandamento Tribunali o Kalsa) e Santa Oliva (Mandamento Castellammare o Loggia).
Nella metà del ‘500 la città conservava la trama viaria medievale, in cui il Cassaro (oggi corso Vittorio Emanuele) era l’asse centrale sin dall’iniziale insediamento fenicio. Fra il 1567 e il 1581 il Cassaro, che da allora all’unità d’Italia verrà chiamato via Toledo dal nome del viceré in carica, venne rettificato e prolungato sia a monte che a valle. La nuova via tagliava così nettamente in due parti la città ed assunse il carattere di asse direzionale lungo il quale si dislocavano le principali attrezzature urbane. Si costruirono anche due nuove porte ai suoi estremi: Porta Nuova, a sud-ovest, fu progettata nel 1569 e costruita a partire dal 1583; Porta Felice, a nord-est, prese il nome di donna Felice Orsini, moglie del viceré Marcantonio Colonna e fu realizzata tra il 1582 e il 1632.
Il 4 novembre 1597 il Senato Palermitano deliberò la costruzione della Strada Nuova o Maqueda (dal viceré Don Bernardino Cardines duca di Maqueda che il 24 luglio del 1600 diede il primo colpo di piccone); il nuovo asse tagliava ortogonalmente la via Toledo nella sua parte mediana, divideva così la città in “quattro nobili parti”, operando a Palermo una radicale ristrutturazione interna. Si tratta di un'operazione senza precedenti nell'Europa del '500 che richiede sventramenti di case, chiese, importanti monumenti, tagli di giardini e campi, riempimento di paludi, stagni, canali e vecchi alvei di fiumi, demolizioni a tappeto per oltre 1400 metri in piena città. Tuttavia i brutali sventramenti non costituirono un'occasione per rinnovare il sostrato urbano delle aree attraversate e riqualificare gli antichi spazi, che mantennero intatto il "disordine" medievale.
La costruzione dei Quattro Canti, avviata il 21 dicembre 1608 dal viceré don Juan Fernàndez Pacheco, marchese di Villena, e definitivamente completata nel 1663, nobilitò, con la sua sfarzosa teatralità, il nuovo crocevia dando origine – secondo le testimonianze del tempo – alla «più superba e beninteso fabbrica non pur nella nostra città; ma etiandio nell’Universo; tanto è mirabile e sopra ogni pensiero umano».
Il progetto iniziale, concepito con grande monumentalità dall’architetto fiorentino (o romano) Giulio Lasso, fu portato a compimento nel 1620 dal palermitano Mariano Smeriglio (1561 – 1636), ma le opere collaterali di fregi in stucco, statue e fontane, si protrassero almeno fino al 1663.
Le facciate concase dei quattro palazzi d’angolo sono caratterizzate, nell’ordine inferiore, da una fontana, che a sua volta richiama le quattro stagioni. L’ordine mediano, invece, raccoglie entro dei nicchioni le statue dei quattro ultimi sovrani di Spagna (Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV). Le statue marmoree delle sante patrone, infine, sono collocate entro altrettanti nicchioni del terzo ordine, fra vari fastigi e decori allegorici. La piazza fu intitolata al viceré Villena, ma fu detta con enfasi "Teatro del Sole".
Da ciascuno dei quattro Canti si dipartiva una nuova suddivisione territoriale ed amministrativa in altrettanti quartieri (detti mandamenti), ognuno dei quali prende nome da una delle quattro protettrici della città cui è dedicato o dalle strutture emergenti che ospitano: Santa Cristina (Mandamento Palazzo Reale o Albergheria), Santa Ninfa (Mandamento Monte di Pietà o Capo), Sant’Agata (Mandamento Tribunali o Kalsa) e Santa Oliva (Mandamento Castellammare o Loggia).
La costruzione della chiesa
Benché le notizie su di lei siano alquanto oscure, il culto di S.Ninfa è particolarmente diffuso in Sicilia e un centro del trapanese ne porta persino il nome. Per disposizione di Papa Clemente VIII, il 5 settembre 1593 l'urna argentea contenente la testa di Santa Ninfa giunse a Palermo, sua città natale.
Gaspare Firriolo, "Martirio di S.Ninfa", rilievo in stucco |
La Chiesa di S. Ninfa dei Crociferi è una delle prime ad essere realizzata lungo il nuovo asse di via Maqueda, sul margine del mandamento dedicato alla stessa santa. La prima pietra fu posta il 10 agosto 1601, alla presenza di S.Camillo de Lellis, fondatore dei Padri Ministri degli Infermi, detti Crociferi. La notizia è riportata dal biografo contemporaneo di S. Camillo, P. Sanzio Cicatelli, che così scrive: "Visitò poi la Sicilia, e prima la Casa di Palermo, dove andò à Golfo Lanciato con cinque Galee di Spagna, nella qual Città mai piu non era stato fin dal tempo, che fù soldato, quando ivi si giuocò
Vittorio Perez, "S. Camillo pone la prima pietra" |
Vittorio Perez, "S.Camillo cura gli infermi" |
L'esterno
Ferdinando Lombardo assistito da Giuseppe Venanzio Marvuglia realizza tra il 1750 e il 1760 la facciata in pietra d’Aspra, che si ispira alle linee tardo cinquecentesche degli edifici romani; essa si compone di due livelli; sia nel primo che nel secondo coppie di paraste poste a fianco delle aperture, sono collegate tra di loro da una trabeazione; il primo livello si rifà ai caratteri dell’ordine dorico, il secondo a quello ionico. La parte centrale, fortemente elevata, è coronata da un frontone al cui interno campeggia lo stemma dei Crociferi affiancato da festoni; essa presenta un’ampia finestra sormontata da timpano curvilineo, si raccorda mediante volute decorate con festoni a stucco alle due ali laterali, ai cui estremi svettano snelle piramidi; i festoni e gli altri decori in stucco dell’intera facciata sono opera di Luigi Romano.
Si accede all’interno mediante tre portali rettangolari, i due minori timpanati, tutti e tre sormontati da rilievi in stucco istoriati: i due riquadri laterali, raffiguranti a sinistra S. Camillo che cura gli infermi e a destra S. Camillo che pone la prima pietra della chiesa di S. Ninfa, sono opere di Vittorio Perez (vedi biografia), quello contenuto entro una cornice ellittica, sul portale maggiore, che mostra il Martirio di S. Ninfa, è invece opera di Gaspare Firriolo (vedi biografia).
Una entrata secondaria alla chiesa si apre lateralmente al n° 6 di via Celso, anch’essa contrassegnata dallo stemma dei Crociferi.
La chiesa, danneggiata dalla guerra e poi dal terremoto del 1968, è stata riaperta al pubblico nel 1979.
Alla destra della facciata si apre una cappella 1 in cui è custodito dal 1722 un Ecce Homo in mistura (tecnica simile alla cartapesta).
Adiacente al lato sinistro della chiesa vi è, invece, l'edificio dell'ex Casa Conventuale dei Crociferi, anch'essa costruita a partire dall'inizio del XVII sec.
L'interno
Lo sviluppo interno è quello tipico di tante Chiese del periodo della Controriforma, derivato dalla romana Chiesa del Gesù del Vignola e presenta lo schema a croce, con un ampio presbiterio quadrato al termine di un’unica ampia navata coperta da volta a botte lunettata, affiancata da profonde cappelle tra loro comunicanti. All’incrocio del braccio longitudinale con il transetto doveva essere prevista una cupola, ma al suo posto, nel XIX sec., fu dipinta a “trompe l’oeil” sul soffitto piano una falsa cupola, opera di Gaetano Riolo († 1856), fratello di Vincenzo, scenografo del Real Teatro Bellini di Palermo. Nei quattro pennacchi, Giovanni Li Volsi ha dipinto gli Evangelisti.
La luce giunge dall’alto dalla finestra di facciata e dalle altre che si allineano ai due lati della navata, aldilà dell’altezza delle cappelle.
Numerosi monumenti funebri e lapidi con iscrizioni funerarie si trovano un po’ dappertutto, nei vari ambienti della chiesa e sepolture accoglie anche la cripta; la chiesa custodisce i resti mortali di diversi padri crociferi, tra i quali gli architetti Paolo e Giacomo Amato, Giovan Battista Vaccarini e Ferdinando Lombardo, e, inoltre, quelli di esponenti della nobiltà siciliana, molti dei quali hanno contribuito, con le loro offerte, alla realizzazione dell'edificio. Il sarcofago in "pietra di paragone" (diaspro nero) posto dietro l’altare è probabilmente il più antico, esso è sormontato da un’epigrafe che ricorda:
D.O.M.
PROECLARÆ VIRTUTES QUÆ D. FRAN° LUCCHESIO
MARCHION LUCCÆ BARONI CVLLÆ, ET
GRATIÆ AD
SVPEROS VIAM ST. A
ERE NIHIL EIVS PRÆTERQVAM
QVOD
OSSA CLAVDIS VN HOC TVMVLO AB VXORE
AMANTISSA DA FRANA
LUCCHESIO ET PEROLLO, MARCHIONISSA
LUCCÆ, BARONISSA
CVLLÆ ET GRATIÆ POSITO
OBYT XXXIIII AGENS ANUM VI°
IDS AVGVSTI 1624
BENE FVNCTA PRIVS M PORTOLANI DIGNITATE”
.
Si tratta dunque della sepoltura voluta da Francesca Perollo, "moglie amatissima" di Francesco Lucchesi Palli Principe di Castelfranco, per il proprio coniuge, morto all'età di 34 anni. La nobile famiglia Palli vantava origini antiche, da Adinolfo, figlio della sorella del re longobardo Desiderio, ed aveva avuto il governo della Repubblica di Lucca, in Toscana. Francesco Lucchesi Palli aveva sposato Francesca Perollo nel 1609, che aveva portato in dote il feudo di Culla (nel territorio a nord-ovest di Agrigento) e, nel 1620, era divenuto Marchese del Feudo di Culla con privilegio di Filippo IV di Spagna, reso esecutivo dal Parlamento Siciliano nel 1624, con diritto allo stemma (scudo rosso con tre palle d'oro). Con licentia populandi ottenuta nel 1622, la Perollo fondò un nuovo centro nel feudo di Culla e, in seguito, lo denominò Lucca in onore della città d'origine del compianto marito. Il nome del paese è divenuto Lucca Sicula dopo l'Unità d'Italia, nel 1863. I padri crociferi concessero alla Marchesa di Lucca lo Jus patronato del presbiterio nel 1624, quando la nobildonna aveva donato 25000 scudi per la sua costruzione.
Procedendo dall'ingresso lungo la parete destra della navata verso il presbiterio, si incontrano:
Alla destra dell’ingresso il monumento funebre di Don Giuseppe Giurato 2 disegnato dal Marvuglia e realizzato da Filippo Pennino (1772).
La Cappella di S. Giuseppe o della Sacra Famiglia 3 ideata e realizzata a proprie spese, nel 1726, dall’arch. crocifero Giuseppe Clemente Mariani, accoglie dipinti del pittore fiammingo Guglielmo Borremans (Anversa, 1672 - Palermo, 1744). L'artista si era trasferito a Napoli nel 1707, quindi, dal 1715, è stato attivo in Sicilia, dove ha svolto un ruolo fondamentale nel rinnovamento della tradizione decorativa tardo barocca nella direzione della nuova maniera rococò, prediligendo una stesura pittorica rapida e mossa e un impasto coloristico luminoso.
Del maestro si apprezzano qui tre immagini sacre, purtroppo piuttosto scurite e che richiederebbero adeguati interventi di restauro.
Sull’altare centrale, tra due semicolonne composite collegate da un timpano curvilineo spezzato, è raffigurato il Transito o Morte di S. Giuseppe (foto a destra): al centro Cristo benedice Giuseppe, che giace sul letto di morte, assistito da Maria; in primo piano e in profondità angeli assistono alla scena. La scansione dei personaggi su tre piani in profondità e lo scorcio del letto di Giuseppe costruiscono la prospettiva. Il cromatismo acceso dei colori primari e la luce che promana dal capo di Cristo contrastano con la generale penombra.
Sulla parete sinistra, (foto in alto a sinistra) entro una cornice ovale, troviamo La sacra Famiglia:
mostra in primo piano la Vergine che regge in braccio il Bambino e due
angeli sulla sinistra, mentre Giuseppe rimane in secondo piano e più in
ombra, a destra. Di fronte, sulla parete sinistra, contenuto in analogo ovale, c'è S. Giuseppe falegname:
in secondo piano, a destra, Giuseppe distoglie lo sguardo dal suo
lavoro e lo rivolge al piccolo Gesù, in primo piano a sinistra; seduto
ad un tavolino, anche lui impugna il martello ed è intento ad unire le
assi di una piccola croce, assistito da due angeli, sotto lo sguardo
della Madre. Originariamente in questa cappella era stata posta la
statua gaginesca della Madonna (oggi nella sacrestia 9), voluta da Don Baldassare Bologna, il quale deteneva lo Jus patronato della stessa cappella.
La Cappella di S. Venanzio 4,
dedicata al santo nel 1718, presenta sulla parete di fondo una pala
d’altare di anonimo, del 1724, raffigurante il Martirio di S. Venanzio,
commissionata da Donna Margherita Castelli Colonna Principessa di
Castelferrato (AN) e probabilmente eseguita a Roma.
Il
dipinto è circondato da una cornice in stucco a cimasa curvilinea retta
ai lati da due angeli, realizzata da Giacomo Serpotta (1656-1732) (vedi
biografia), o dal figlio Procopio, su probabile disegno dell’architetto
Giacomo Amato, lo stesso con il quale il Serpotta lavorerà
nell’Oratorio di S. Lorenzo. L’organizzazione dell’insieme, con i due
angeli che affiancano il dipinto, rimanda a modelli romani; gli angeli
dai volti espressivi, si librano con naturalezza e presentano abbondanti
panneggi svolazzanti. Sulla volta, l’Eterno Padre, affiancato da due riquadri e due lunette raffiguranti putti: sono opere del pittore palermitano Antonio La Barbera, come i quadri laterali ad olio con S. Liborio e S. Venanzio.
La Cappella del Sacro Cuore 5 presenta sull’altare una statua ottocentesca del Cuore di Gesù, là dove era posta in origine la gaginesca statua della Madonna, oggi in sacrestia. Sulla volta è un affresco che rappresenta la Madonna Assunta (XVIII sec.). Nella cappella erano conservate due Crocifissioni, una, novellesca, della prima metà del XVII sec. e l’altra, con Storie di Cristo, del XVI sec.
A conclusione della parete destra della navata, occupa il braccio destro del transetto l'ampio Cappellone di S. Ninfa.
Nella parete destra, ospita il monumento funebre di Donna Petronilla Lombardo (†1667) 6, un sarcofago retto da grifoni sormontato da un’edicola con il busto della defunta.
Maestoso l’altare di granito 7 con colonne binate, che occupa la parete centrale del cappellone, dedicato originariamente a S. Ninfa.
Sull'altare, dove originariamente era una pala dedicata a S. Ninfa di Filippo Paladino, andata perduta, è oggi una statua lignea dell’Addolorata, attribuita allo scultore trapanese Giuseppe Milanti, proveniente dalla chiesa di S. Margherita, distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Poste sull’altare le statue di due profeti; a sinistra Simeone, opera di Andrea Sulfarello (vedi biografia) e a destra Geremia, opera di Gaspare la Farina (vedi biografia). Da notare infine, sulla parete sinistra, il balconcino retto da tre putti dorati, con il teatrale “trompe l’oeil” della tenda scostata sulla porta, dipinto sulla parete di fondo presumibilmente dallo stesso G. Riolo autore della vicina falsa cupola; questa struttura si ripetete simmetricamente anche sull’altro lato del transetto e, ancora lungo la navata, con la variante di contenere organi, reali o anch'essi dipinti.
Il presbiterio 8 (vedi approfondimento a cura della prof. Duci ) è stato costruito tra il 1624 e il 1649, Quattro finestroni illuminano, dall'alto la grande pala d’altare (olio su muro) di Gioacchino Martorana, (1768) (vedi biografia) che raffigura S. Ninfa con le Vergini Palermitane, (Agata, Oliva, Rosalia) Maria, Giuseppe e la SS. Trinità, incorniciata da un volo d'angeli in stucco. Del Martorana sono anche i quattro quadroni sulle pareti del coro, separati da lesene scanalate, che raffigurano i Dottori della Chiesa, a destra S. Gregorio Magno e S. Gerolamo, a sinistra S. Agostino e S. Ambrogio. Sulla volta, sempre del Martorana il Trionfo della Croce e due medaglioni monocromi con S. Pietro e S. Andrea. Di Vittorio Perez (prima metà del XVIII sec.) è la Traslazione delle reliquie di S.Ninfa in Cattedrale, in stucco dorato, posta sotto il quadro dedicato a S. Ninfa. L’altare maggiore in marmo fu disegnato da Venanzio Marvuglia e montato nel 1774. Gli stalli corali risalgono al 1826.
Nella Sacrestia 9 si trova, come già detto, la gaginesca statua marmorea della Madonna delle Grazie.
Dal passaggio che conduce alla sacrestia si accede, attraverso una porticina ad una scala di servizio che conduce agli alloggi dei padri Crociferi ed agli ambienti dove un tempo era il refettorio. All’interno è un crocifisso ligneo di buona fattura.
Ritornando verso l’ingresso nella parete della navata si incontrano:
Sul braccio sinistro del transetto, il Cappellone in origine dedicato a S. Carlo Borromeo (1) e, dopo la sua beatificazione (1742), a S. Camillo de Lellis 10 (vedi approfondimento a cura del prof. Ciappa), presenta al centro l’altare di legno del 1742, stuccato a finto marmo, sul quale è collocato una grande pala che raffigura S. Camillo che ascende al cielo, forse contemporanea opera di Gaspare Serenario. Dentro una teca sono poste le reliquie del santo fondatore dell’Ordine dei Crociferi e la sua maschera mortuaria.
La Cappella del Crocifisso 11 con uno splendido Crocifisso ligneo in stile barocco. Ai piedi della Croce, sullo sfondo di un paesaggio dipinto a fresco, si stagliano le statue in stucco di S. Giovanni Evangelista, della Maddalena e di Maria realizzate nel 1720 da Giacomo Serpotta. Nella stessa cappella, a pavimento è la lapide (1690) a marmi mischi che chiude la cripta della famiglia di G.B. Marassi che ottenne lo Jus patronale per la stessa cappella.
Alla parete destra due monumenti funebri, a destra quello di Girolamo Marassi Drago barone di Fontana Salsa (1743) di eleganti forme rococò, a sinistra quello di G.B. Marassi († 1696), eseguito nella bottega dello Scuto (vedi biografia) su disegno di Paolo Amato (vedi biografia). Sugli archi di comunicazione troviamo l’affresco tardo-seicentesco con L’adorazione del serpente di bronzo, molto rovinato.
La cappella ospita inoltre una lapide commemorativa di Tommaso Santoro (1752), con ritratto nel medaglione marmoreo.
La Cappella della Madonna della Salute o dei SS. Liberale ed Evanzia 12 presenta i dipinti a fresco dei due Santi negli archi di comunicazione. Ai lati dell’altare le statue in stucco della Giustizia e della Penitenza di scuola serpottesca.
La Cappella di S. Rosalia o di S. Filippo Neri 13 presenta sugli archi di comunicazione gli affreschi di Alessandro D’Anna (Palermo 1746 – Napoli 1810), del 1769 ca., che raffigurano S. Filippo Neri in gloria a destra e S.Maria Maddalena penitente a sinistra.
A sinistra dell’ingresso della Chiesa è collocato il neoclassico monumento funebre a John Acton (1736-1811) (vedi biografia), ministro del Regno di Napoli al tempo di Ferdinando I 14.
nota (1): Nella seconda metà del Cinquecento, il Concilio di Trento (1545-1563) promuove una generale revisione dei principi dottrinali della Chiesa e della disciplina che regola la vita del clero, con l’obiettivo di fornire a tutti i cattolici una risposta certa sulle questioni sollevate dai riformatori. Nelle fasi finali dei lavori si affronta il tema dell’arte sacra: si ribadisce il ruolo didattico delle immagini sacre, finalizzate all’educazione ed al coinvolgimento del fedele, e si promuove la fioritura di una trattatistica sull’arte, mirata a “regolarizzare” la produzione artistica secondo canoni considerati leciti e accettabili (chiarezza, leggibilità, ortodossia). Le Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae (1577) redatte dal Cardinale Borromeo, costituiscono una puntigliosa disamina delle problematiche relative all’architettura religiosa e alle questioni connesse alla liturgia, alla funzionalità degli edifici ed al corretto impiego delle suppellettili e degli arredi ecclesiastici. Il Cardinale Borromeo è stato guida dell’arcidiocesi milanese dal 1565 al 1584.
Tutte le foto sono di I. F. Ciappa .
Si ricorda che è vietata la riproduzione e l'utilizzo di parti del testo e delle foto senza che se ne citi l'origine.
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