sabato 30 marzo 2013

Lo sviluppo urbanistico della città di Palermo.

(Dalla città entro le mura al sacco di Palermo)

 

I primi tentativi di espansione urbana oltre le mura

Dopo una prima timida fase di sviluppo oltre le mura cinquecentesche in direzione di Monreale lungo il Cassaro, si optò per il prolungamento della via Maqueda. I territori a sud erano però poco adatti all'urbanizzazione, vista la presenza del fiume Oreto che rendeva malsana la zona. Così, dopo aver costruito il quartiere Oreto subito oltre le mura, si tentò di incrementare l'espansione verso il fiume costruendo anche due grandi zone di verde, l'Orto botanico e la Villa Giulia, ma ciò non ottenne i risultati sperati: la zona a sud era infatti quella più densamente coltivata e quindi meno appetibile economicamente. A questo punto la direttrice di espansione si orientò a nord, verso la Piana dei colli, una zona pianeggiante, fertile e arieggiata.

L'inizio della pianificazione


Pianta di Palermo del 1777 (dal Villabianca)
La decisione di spostare il baricentro cittadino verso nord avviene definitivamente nel 1778 quando il pretore, il marchese Regalmici, affida all'ingegnere Nicolò Palma il compito di creare una nuova zona che mettesse in collegamento la città antica col Borgo di Santa Lucia secondo un ordine geometrico e razionale. La cosiddetta addizione Regalmici ripropone così l'ordine ortogonale dei Quattro canti ricreandolo all'esterno della città. L'incrocio fra il prolungamento della via Maqueda (ora via Ruggero Settimo) e una nuova via a essa perpendicolare, lo stradone dei Ventimiglia, oggi via Mariano Stabile, che giungeva sino al mare, crea un'altra piazza ottagonale, chiamata Quattro canti di campagna in contrapposizione a quella cittadina. Ancora più a nord, la strada del Mulino a vento (oggi corso Scinà) costituisce un collegamento diretto fra la città e il Borgo di Santa Lucia. Nei primi decenni del XIX secolo la popolazione comincia sempre più a spostarsi all'esterno delle mura, tanto che l'amministrazione comunale nel 1819 istituisce i due nuovi quartieri Oreto e Molo e iniziano i lavori di miglioramento dei tracciati viari di collegamento. A conferma della corretta intuizione dell'amministrazione Regalmici, nel 1848 viene tracciata verso nord la via della Libertà, chiamata dai Borboni Strada della Real Favorita, completata nel 1861 con la piazza Alberigo Gentili.

I progetti del 1860


In seguito agli attacchi al sistema bastionato da parte dei borboni e visto lo stato di degrado di molte abitazioni del centro, il pretore Duca di Verdura promosse un concorso per la presentazione di un progetto di pianificazione della città. Nel settembre 1860 un gruppo di architetti e ingegneri composto fra gli altri da G.B.F. Basile, presentò due progetti, uno "Economico", uno "Grandioso" ed alcuni elementi di quello "Medio" tutto questo poiché non si conosceva il bilancio a disposizione del comune. Il primo, "Economico", prevedeva soprattutto miglioramenti alla maglia viaria del centro e la creazione di nuove strade nella zona nord, la lottizzazione dei terreni presso la via Libertà e l'edificazione di bagni pubblici e di due teatri. Quello "Grandioso" si concentrava soprattutto sulla viabilità interna prevedendo un reticolato composto da altri quattro assi perpendicolari fra loro che intersecando le vie Maqueda e Cassaro dividevano la città in sedici quadranti rettangolari. Alla fine nessuno di questi progetti venne realizzato, ma le proposte da questi lanciate influenzeranno molto la successiva pianificazione cittadina. Nel 1866 l'Uffico tecnico comunale redige il "Piano generale di bonifica e ampliamento" che riprende alcuni elementi del progetto "Grandioso", ma favorendo uno sviluppo disomogeneo proponendo la lottizzazione e i piani ad opera di privati. È anche grazie alla grande crescita demografica che nella zona Ovest della città vengono identificati due nuovi mandamenti in prossimità delle antiche residenze normanne: Cuba e Zisa. La città viene anche dotata di importanti infrastrutture come il prolungamento del Molo Nord per difendersi dalle frequenti inondazioni e la prima circonvallazione ferroviara che congiunge la zona portuale con la stazione centrale.

Il Piano Giarrusso e il taglio di via Roma


Il Piano Giarrusso (in rosso le nuove edificazioni previste)
La situazione igienico-sanitaria all'interno del centro peggiorava sempre di più. La maggior parte della popolazione infatti abitava i cosiddetti "catoi"; abitazioni costituite da un vano a piano terra spesso ricovero di animali e/o adibito a cucina e gabinetto comune, e uno o più ambienti disposti a volte su piani sovrapposti e destinati a camere da letto. In queste condizioni erano molto frequenti le epidemie tanto che l'amministrazione decise di intervenire proponendo un piano di bonifica.
Nel 1885 venne approvato il "Piano regolatore di risanamento" dell'ing. Felice Giarrusso (noto appunto come Piano Giarrusso) che sostituì quello dell'ing. Luigi Castiglia che venne bocciato. Questo piano, rifacendosi al progetto "Grandioso", prevedeva l'apertura di quattro strade perpendicolari agli assi preesistenti che creassero degli incroci ortogonali al centro di ogni mandamento. Queste strade, dalla larghezza prevista intorno ai 20 metri, avrebbero avuto il compito di aprire la stretta e disordinata maglia viaria antica permettendo il passaggio dell'aria e della luce rendendo più salubri le varie zone. Palermo si sarebbe allineata alla moderna tendenza agli sventramenti già verificatasi nella Parigi di Napoleone III e del Barone Hausmann, di Napoli (Spaccanapoli) e di Firenze, ma anche di Barcelona e del Piano Cerda. Per alloggiare la popolazione dalle zone interessate dai lavori si vennero a creare nuovi quartieri posti soprattutto in riva al mare, come nei pressi delle borgate di Romagnolo nella zona sud e dell'Acquasanta alle falde del monte Pellegrino. Delle quattro grandi strade previste vennero realizzate soltanto l'attuale via Mongitore, che taglia parallelamente al Cassaro il quartiere dell'Albergheria, e la via Roma. che attraversa due mandamenti (Tribunali e Castellamare) correndo pressoché parallela alla via Maqueda. I lavori, iniziati nel 1895 all’incrocio con via Cavour, vennero ultimati nel 1922 e causarono la demolizione di molte abitazioni e di edifici e chiese di interesse storico. Poiché i finanziamenti terminavano periodicamente, i lavori ebbero un iter lungo e travagliato e non si svolsero con continuità. La strada venne realizzata a zone con un tracciato spezzato e non esattamente parallelo alla via Maqueda (anche per gli interessi di ricche famiglie che sul tracciato previsto avevano la residenza). Si innescò una speculazione edilizia che interessò soltanto i lotti e gli edifici prospicienti la strada lasciando quelli non in vista degradati e malsani (ad es. nella zona del mercato della Vucciria). La via Roma divenne comunque un importante asse cittadino che metteva in collegamento la Stazione centrale con la zona portuale del Borgo Vecchio. Per questo motivo sulla via si edificarono il Teatro Biondo e in epoca fascista il palazzo delle Poste Centrali, senza dimenticare tutti i palazzi in stile umbertino che con la loro altezza rendevano vano lo sperato effetto di "risanamento" poiché eclissando i bassi edifici alle loro spalle impedivano il passaggio di luce e aria verso l'interno. Così la via Roma, finanziata col denaro previsto per le cosiddette opere di risanamento, divenne più che altro una strada celebrativa e a conferma di ciò all'inizio della stessa in piazza Giulio Cesare venne posto un ingresso monumentale.

L'Esposizione Nazionale e la crisi degli anni Venti


Nel 1891 si era svolto un evento che anche se non lasciò prove tangibili del suo passaggio avrebbe influenzato decisamente la storia urbanistica della città: l' Esposizione Nazionale. Grazie all'iniziativa delle importanti e ricche famiglie palermitane, tra cui senz'altro i Florio e i Whitaker, la città si mise in "vetrina" ospitando un evento che ebbe riscontri positivi anche dal punto di vista commerciale e turistico. I padiglioni dell' Esposizione vennero costruiti nella zona a monte di via Libertà fra le attuali piazze Politeama e Croci, nella zona nota come "firriatu di Villafranca" di proprietà del principe di Radaly. Nel giro di qualche anno tutti i padiglioni vennero smontati ma la risonanza della manifestazione ebbe importanti strascichi sulla storia cittadina.
Planimetria generale e prospettiva dell'Esposizione Nazionale
La zona scelta per l’esposizione confermava la volontà cittadina di spostare l'attenzione sull'area a nord del centro. Il completamento della via Libertà nel 1911 segnerà appunto fermamente questa decisione trasformando questa zona nel nuovo centro direzionale della città dedicato alle classi più abbienti e dinamiche. La disposizione a scacchiera che si rifaceva all'impianto ortogonale parigino influenzerà la successiva edificazione della zona che al termine della manifestazione verrà lottizzata ed occupata da ricche abitazioni poste su più piani. Lo stile liberty d'altro canto troverà un fecondo terreno nella nascita dei numerosi villini che le ricche famiglie edificheranno lungo le vie Libertà e Dante (Villino Ida, Villa Deliella, Villino Florio all’Olivuzza, Villa Favaloro) e nelle vicine vie come l'attuale via Notarbartolo (Per foto e notizie sul Liberty a Palermo vedi anche http://www.arteliberty.it/palermo.html).  Anche se ormai molte tra queste sono state demolite per far posto ad alti condomini, lo stile liberty è ancora ben visibile nelle ville edificate nello stesso periodo soprattutto nei pressi di Mondello che, in seguito alla bonifica degli acquitrini di Valdesi, diventerà in breve tempo la spiaggia preferita dai palermitani (E' possibile vedere qualche immagine significativa cliccando sul link http://laguilla.wordpress.com/ville-non-piu-esitenti-di-via-liberta/). I primi decenni del novecento segnano invece una profonda crisi economica che si ripercuoterà anche in ambito cittadino. Vista la proroga del piano Giarrusso fino al 1941 i proprietari degli edifici del centro, spaventati da eventuali espropri, non effettueranno nessun lavoro di mantenimento sulle abitazioni che così sprofondano sempre più in uno stato di abbandono e degrado mentre l'edificazione senza controllo segna la nascita di nuovi quartieri, come quello dell'Olivuzza. Nonostante tutto nel 1922 iniziano i lavori per l'ampliamento del porto e vengono costruiti il quartiere Matteotti, iniziato nel 1927, e il nuovo ospedale Civico progettato nel 1932.

Il Concorso del 1939



Nel 1939, vista la necessità di dotare la città di uno strumento che desse ordine all'edificazione di una città in perenne crescita, venne indetto un concorso nazionale per la redazione di un Piano regolatore e di ampliamento previsto per una città di oltre 700.000 abitanti. Nel 1941 furono tre i progetti vincitori ex aequo.
Planimetria di Palermo ca. 1940
Nel 1944 fu redatto dall'Ufficio tecnico comunale, in collaborazione con i vincitori del concorso un Piano Regolatore, ma questo piano rimase solo sulla carta anche a causa degli eventi bellici. Durante la seconda guerra mondiale infatti, la Sicilia costituì il fronte d’attacco delle truppe alleate che erano attestate dall’altra parte del Mediterraneo, sulle sponde di Algeria e Tunisia. I danni causati dal conflitto specie ad opera dei bombardamenti anglo-americani precedenti l’8 settembre del ’43 furono ingenti, la città più colpita fu Palermo; in particolare il centro storico e la zona portuale, densamente abitati. Nel 1945 Palermo venne inserita fra le città che dovevano adottare un piano di ricostruzione. Tra il 1947 e il 1955 ben 35.000 contadini arrivarono alle porte di Palermo mentre furono ben 40.000 i palermitani che avevano avuto la casa distrutta e che richiedevano nuove abitazioni. La decisione politica non fu quella del restauro, ma quella della costruzione di una “nuova Palermo”. Fra i primi interventi vi fu la nascita di nuovi quartieri di edilizia sovvenzionata come il Villaggio S. Rosalia mentre di riflesso prese sempre più piede il fenomeno della speculazione edilizia, premessa del cosiddetto sacco di Palermo.

Dal Piano regolatore del 1962 al sacco di Palermo


Il PRG del 1962 arriva dopo quasi ottanta anni dal precedente Piano Giarrusso e viene approvato dal Presidente della Regione come Piano Regolatore Generale della città. Questo piano prevedeva l'ampliamento della superficie cittadina di circa il doppio, prevedendo un raddoppio della popolazione dai 500.000 a circa 900.000 abitanti. Conseguenze furono l’occupazione di moltissimi spazi prima destinati all'agricoltura e contemporaneamente l’inglobamento delle borgate storiche, molte delle quali perderanno la loro identità, nel tessuto urbano,. Il piano prevedeva la riduzione delle aree verdi e la sostituzione di piccoli edifici con edifici multipani, con l'intenzione, presunta, di limitare lo spazio occupato. In realtà si trattava di una semplice speculazione edilizia che causò l’abbattimento di molte ville ottocentesche e del primo novecento. In particolare la via Notarbartolo in pochi anni si trasformò da una strada circondata da ville e verde in una fiancheggiata da edifici di oltre 10 piani. Vista la grande esplosione demografica degli anni Sessanta e la pressante richiesta di abitazioni da parte della popolazione, nel 1966 vengono approvati i piani per l'edilizia convenzionata che utilizzando terreni precedentemente di uso agricolo creano 14 nuove zone edificate, alcune delle quali trasformano antiche borgate come Bandita, Arenella o Resuttana. Per le classi meno abbienti, la città, si dota dei Piani di Edilizia Economica Popolare (PEEP), e decide di edificare una serie di quartieri popolari. I PEEP vengono così dislocati, nella maggior parte dei casi, nei pressi della nuova circonvallazione cittadina, il viale Regione Siciliana.
La ex Conca d'oro da Monte Pellegrino
Questa, progettata inizialmente come tangenziale extraurbana di collegamento per il traffico diretto a Trapani o Messina e quindi come una sorta di limite all'espansione cittadina verso le montagne, venne in breve tempo assorbita dal tessuto urbano diventando un importante asse urbano che però taglia fuori e isola i nuovi quartieri sorti al di fuori di essa, come Borgo Nuovo o Passo di Rigano. Il via alla speculazione urbana sarà dato dalla costruzione di questi quartieri così distanti dalla città consolidata. Creando questi nuovi poli satelliti da collegare alla città tramite nuove opere di urbanizzazione primaria (strade, reti fognarie e idriche), il terreno inizialmente agricolo posto fra queste nuove aree e la città veniva acquistato a basso prezzo diventando subito dopo edificabile aumentando così a dismisura il suo valore. Sono questi gli anni in cui l'emergente mafia corleonese di Liggio, Riina e Provengano influenza fortemente l'amministrazione cittadina. Ne sono un chiaro esempio le relazioni tra il Sindaco di allora Salvo Lima ( dal '58 al '63 e dal '65 al '66) e l'assessore ai lavori pubblici Vito Ciancimino (dal '59 al '64), entrambi democristiani, sotto la cui amministrazione venne approvato il Piano regolatore del 1962, un affare colossale per la mafia. La mafia, che fino a quel momento sfruttava gli agricoltori, si trasformò in mafia urbana. Con la disgregazione dei grandi patrimoni terrieri e la lotta dei contadini per la terra, la mafia urbana divenne sempre più potente e si trasformò in associazione criminale organizzata dedita, fra l'altro, al commercio della droga. L'enorme quantità di denaro sporco realizzato con questi commerci, doveva essere investito in qualche modo anche perché era necessario “ripulirlo” e l'edilizia costituì quindi il canale migliore per portare a compimento la distruzione della Conca d'oro.

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