Liceo Classico Statale “G. Garibaldi”Palermo Corso di Storia dell’Arte-Sezioni B- F-L- M prof. Ignazio Francesco Ciappa
“Panormus.la
scuola adotta la città” 18, 19 e 20 Maggio 2018 Complesso
Monumentale di S. Maria dello Spasimo Palermo
Il Complesso Monumentale
di
S. Maria dello Spasimo
Palermo
LA
STORIA
La
chiesa Santa Maria dello Spasimo, conosciuta come "Lo Spasimo"
è sita nel quartiere della “Kalsa” fra piazza Magione e
via Lincoln.
L'accesso avviene da via dello Spasimo dove prospettano gli edifìci
un tempo appartenenti al Monastero annesso alla chiesa stessa.
Il
complesso conventuale fu voluto nei primi anni del XVI secolo da
Jacopo de Basilico (o de Basilio), giureconsulto di origini
messinesi, che volle rispettare le volontà testamentarie della
moglie Ilaria Resolmini, nobildonna di origini pisane, desiderosa di
innalzare una chiesa dedicata al dolore immenso di Maria, sofferente
dinanzi al figlio che crolla sotto il peso della Croce sulla via del
Calvario. Il de Basilico, esimio uomo di legge, reduce da un viaggio
in Terra Santa, donò ai
padri olivetani di
Santa Maria del Bosco “un
tenimento di case, vigne e giardino di sua proprietà,
ai
margini del quartiere della Kalsa, per l’edificazione di una Chiesa
con annesso convento” e
costituì una rendita di cento onze sui propri beni per il
finanziamento del cantiere del nuovo monastero “extra
portam Grecorum Panhormi”1.
Quel
terreno di sua proprietà si trovava a 60 passi da Porta dei Greci,
come la chiesa armena del VII sec. dedicata
a Nostra Signora dello Spasimo di Gerusalemme era a 60 passi dalla
Porta Giudicarla, secondo quanto è descritto nella settima stazione
della “Via Crucis” che vede la seconda caduta di Cristo sulla via
del Calvario2.
Il
Complesso di S. Maria dello Spasimo e il bastione in una foto aerea
|
In particolare per proteggere i punti più sensibili della città il progetto della nuova cinta bastionata redatto dall’architetto bergamasco Antonio Ferramolino prevedeva, tra gli altri, la realizzazione di uno dei bastioni appunto nell’area del convento dello Spasimo. A partire dal 1537 iniziarono i lavori sul fianco meridionale della chiesa per rafforzare le mura. A occuparsi dei lavori di rinnovamento delle mura fu chiamato dal 1536 al 1540 lo stesso Antonio Belguardo9nel frattempo assurto ad architetto reale. Furono abbattuti parte del campanile della chiesa, dei chiostri e delle stanze dei monaci stravolgendo la configurazione dell’intera struttura. I danneggiamenti subiti dal convento dello Spasimo furono talmente importanti da indurre i padri a chiedere di essere ospitati nella vicina chiesa della Magione per potere espletare momentaneamente le loro funzioni, in quanto inizialmente non avevano intenzione di abbandonare il loro monastero, ma la richiesta non ebbe seguito. Dopo tante vicissitudini i monaci furono costretti ad abbandonare il complesso abbaziale della Kalsa nel 1573, dopo che questo era stato definitivamente acquistato dal Senato per la somma di 4000 once nel 1569, per esigenze militari. Si trasferirono quindi nell’abbazia normanna di Santo Spirito, fuori città, non senza avere portato via l'altare del Gagini e la Pala di Raffaello.
Tutto il fronte meridionale della chiesa venne incorporato nel bastione dello Spasimo, visibile da via Lincoln, e lo spazio fu colmato da un terrapieno, preceduto da un fossato, che occultava, dall'esterno, la vista della chiesa, facendola somigliare ad una struttura fortificata.
Gli immobili, ormai proprietà del Senato della città, furono
trasformati
in
magazzini municipali,
mentre, tra il 1582 ed il 1692, la
chiesa divenne il
primo “teatro pubblico” della città, per
volontà del vicerè Marcantonio Colonna, che vi fece
rappresentare l’Aminta di Torquato Tasso proprio nel 1582. In
seguito vi si tennero rappresentazioni di carattere storico,
religioso e mitologico.
Nel 1593 sotto la direzione dell’architetto del Senato Giovanni
Battista Collipietra molti
degli ambienti dell'ex convento furono trasformati in magazzini di
cereali e successivamente in albergo dei poveri e "deposito di
mendicità".
Durante
la
grave epidemia di peste del 1624 una parte degli edifici fu
trasformata in lazzaretto. Agli inizi del XVIII
secolo
il complesso versava già in condizione di grave degrado; infatti nel
1718 Don Antonino Mongitore erudito e storico del '700, visita la
chiesa descrivendone le condizioni e l’uso in una relazione scritta
corredata da due sommari schizzi a penna e la colloca tra quelle
dirute10.
A
partire dal 1835 ad opera del Principe di Palagonia vennero apportate
modifiche agli edifìci per assolvere alla nuova funzione di ospizio
di mendicità e di nosocomio. Nella navata scoperchiata fu realizzato
un giardino; sopra le cappelle laterali al primo piano vennero
costruite le stanze ospedaliere; negli spazi delle cappelle fu
realizzata una piccola chiesa. Dopo l'Unità d'Italia parte dei
magazzini che in precedenza erano stati utilizzati come granai
vennero trasformati in deposito di merci varie, compresa la neve
proveniente dalle montagne che veniva utilizzata per rinfrescare le
bevande e per realizzare gelati. La funzione ospedaliera fu mantenuta
fìno al 1986, prima come sifìlicomio (ospedale meretricio aggregato
all’ospedale grande di palazzo Sclafani dal 185811),
quindi dal 1888 come pertinenza dell'Ospedale Civico, dal 1898 con la
denominazione di Ospedale Principe Umberto, in condizioni poco
consone ad una struttura sanitaria. Nel
1931 l'alluvione provocò
i primi danni alla chiesa che i terremoti del 1940 e del 1968
contribuirono ad accentuare.Alla
fine del secondo conflitto mondiale, la chiesa venne utilizzata come
deposito di materiale artistico proveniente da palazzi e chiese della
città danneggiate dai bombardamenti e punto di raccolta di materiale
lapideo da catalogare.Per
anni cadde nell’oblio rimanendo praticamente in condizioni di
semiabbandono insieme a quel che restava delle fabbriche adiacenti
fino al 1988, anno in cui cominciarono i primi interventi di sgombero
e sistemazione, seguito poi da un vasto lavoro di restauro e di
ripristino dell’intero complesso.
Si accede al complesso attraverso il portale su via dello Spasimo che riporta ancora l'intitolazione al re Umberto I dell'ex ospedale. Superato l'androne, si scorgono sul fianco sinistro del cortile le prime arcate di uno dei lati del chiostro cinquecentesco che nelle intenzioni dei monaci olivetani sarebbe dovuto sorgere grandioso come la chiesa ma, per gli eventi che lo coinvolsero, non venne mai ultimato. Le arcate ribassate, prima nascoste sotto murature di tompagnamento e intonaco, e riportate alla luce nel marzo del 1996, poggiano su piedritti (elementi verticali aventi funzione portante) costituiti da un pilastro centrale affiancato ai lati da mezze colonne con capitelli (elementi terminali delle colonne) in pietra intagliata. I capitelli sono, alternativamente, di due tipi: uno con foglie d'acanto e l'altro con palmette stilizzate. La dimensione del cortile oggi risulta minore di quella originariamente prevista tanto che due arcate del chiostro originario sono oggi visibili all'interno di un locale adiacente al cortile stesso, la sala degli archi, restaurata ed utilizzata per mostre. Lasciando l'ambiente del chiostro e attraversando gli spazi ospedalieri si scorge sulla sinistra uno scalone in pietra creato per raggiungere i piani dell'ospedale.
Varcato il vano di accesso si giunge in un ambiente coperto con una volta in gesso a cassettoni. Quattro alti archi acuti introducono direttamente al transetto della chiesa dove troviamo l'abside, il coro, la navata centrale e quelle laterali. Lo stile originario, come già detto è gotico-settentrionale, con elementi di importazione iberico-catalana e influenze arabo-normanne nella cappella de Basilico che si descriverà in seguito. L'abside, di forma poligonale, ha una volta a stella. Gli spigoli rimarcati da snelli bastoni, si compongono nella costolatura della volta per concludersi nella chiave a goccia. Sull'altissimo muro che delimita l'abside si apre una grande finestra monofora sotto la quale è collocato un piccolo portale. Il coro è assieme all'abside la parte più integra della costruzione originaria.
Ha pianta quadrata e la volta a crociera di copertura è sostenuta agli
angoli da quattro pilastri. Tutte le murature della struttura originaria
sono costituite da pietrame informe legato da malta che si distingue
dalle modanature e dagli elementi strutturali realizzati in pietra da
taglio. Altre murature realizzate in conci di pietra squadrata sono
evidentemente successivi ed hanno modificato la struttura originaria, ad
esempio riducendo la spazialità del transetto. Il quadrato
all'intersezione tra navata e transetto, oggi scoperto, è delimitato da quattro grandi archiogivali destinati forse a sostenere un tiburio.
La navata oggi risulta a cielo aperto, ma questa condizione viene già attestata da descrizioni, incisioni del XIX sec. e da fotografie risalenti ai primi del novecento anche se, forse fino alla prima metà del
E' infatti documentata la presenza del maestro che ebbe modo di lavorare oltre che a Palermo e a Cefalù, a Partinico e a Trapani. 13
L'ARCHITETTURA
Si accede al complesso attraverso il portale su via dello Spasimo che riporta ancora l'intitolazione al re Umberto I dell'ex ospedale. Superato l'androne, si scorgono sul fianco sinistro del cortile le prime arcate di uno dei lati del chiostro cinquecentesco che nelle intenzioni dei monaci olivetani sarebbe dovuto sorgere grandioso come la chiesa ma, per gli eventi che lo coinvolsero, non venne mai ultimato. Le arcate ribassate, prima nascoste sotto murature di tompagnamento e intonaco, e riportate alla luce nel marzo del 1996, poggiano su piedritti (elementi verticali aventi funzione portante) costituiti da un pilastro centrale affiancato ai lati da mezze colonne con capitelli (elementi terminali delle colonne) in pietra intagliata. I capitelli sono, alternativamente, di due tipi: uno con foglie d'acanto e l'altro con palmette stilizzate. La dimensione del cortile oggi risulta minore di quella originariamente prevista tanto che due arcate del chiostro originario sono oggi visibili all'interno di un locale adiacente al cortile stesso, la sala degli archi, restaurata ed utilizzata per mostre. Lasciando l'ambiente del chiostro e attraversando gli spazi ospedalieri si scorge sulla sinistra uno scalone in pietra creato per raggiungere i piani dell'ospedale.
Chiesa
di S.Maria dello Spasimo, Pianta
|
Chiesa
di S. Maria dello Spasimo, le volte dell'abside e del coro
|
La navata oggi risulta a cielo aperto, ma questa condizione viene già attestata da descrizioni, incisioni del XIX sec. e da fotografie risalenti ai primi del novecento anche se, forse fino alla prima metà del
Chiesa
di S. Maria dello Spasimo,
Cappella de Basilico
|
settecento, era ancora coperta da volte pur se in cattive condizioni. Ai due lati si aprono otto arconi a tutto sesto, quattro per lato, che la separano dalle navate laterali; queste sono suddivise in campate separate da archi a pieno centro e coperte da volte a crociera ogivali costolonate. Le navate laterali sono precedute da due ambienti quadrangolari, di cui uno, la cappella de Basilico,ancora oggi coperto da cupola. Tra i due vani si sviluppa un esonartece (portico d'ingresso), delimitato in facciata da un ampio arco ribassato. La cappella de Basilico, opera di Antonio Belguardo, presenta delle affinità con altre cappelle coperte da cupole sorrette da nicchie “arabo-normanne” frequenti nella cultura architettonica isolana di questo periodo e rappresenterebbe cronologicamente,
(come documentato) il primo esempio tra queste, seguita dalla
Cappella Spinola
nella chiesa di S. Oliva in S. Francesco di Paola (1530), fortemente
voluta
dal viceré Pignatelli; dalla cupola della chiesa parrocchiale di S.
Antonio de Cassaro (1516), trasformata e ampliata nel 1539, da quella
non più esistente della tribuna della chiesa di S. Maria della Pietà
(1519 e 1535-6) e dalla celebre cappella della Madonna dell’Annunziata nella chiesa di Trapani, attribuita al maestro palermitano Simone La Vaccara12 che sembrerebbe oggi potersi attribuire allo stesso Belguardo (inizi degli anni '30 del Cinquecento).
La
performance Vanessa Beecroft - VB62
allo
Spasimo
|
Uscendo
dalla chiesa a sinistra si può notare un arco dell'ottocento, sotto
il quale una scalinata di recente costruzione ci permette di arrivare
sullo spalto del bastione, vasto terrapieno a meridione della chiesa
sistemato a giardino, dove è ciò che rimane delle vecchie
fortificazioni del cinquecento, e che da accesso alla Sala delle
capriate.
Gli edifìci che circondano la chiesa si snodano attorno a vari cortili, tra i quali il principale forma l'atrio di ingresso al complesso.
Ai
piani superiori rimangono grandi stanze di degenza. Nel giardino e
negli spazi del complesso sono disseminati resti architettonici di
edifìci demoliti ed abbandonati, tra cui il portale manieristico
della chiesa di S. Giovanni Battista al Castellammare,
trasferito
nel 1922
nel
non più esistente Ritiro di Suor Vincenza in piazza Tredici Vittime;
conci
della facciata della chiesa di S. Maria di Piedigrotta alla Cala;
finestre di S. Nicolò alla Kalsa e lapidi del palazzo Pretorio.
Nelle
ampie sale di degenza si svolgono eventi pubblici e mostre; vi è
attiva una scuola di jazz e si tengono rappresentazioni teatrali.
L'evento forse più interessante si è svolto il 12
luglio 2008 con la prima performance in Sicilia di Vanessa Beecroft,
Vanessa Beecroft - VB62
RAFFAELLO
ANDATA
AL CALVARIO O “SPASIMO DI SICILIA”
Giorgio
Vasari descrive ampiamente la
famosa tavola dipinta da Raffaello. Lo scrittore e trattatista
racconta le incredibili vicende, quasi miracolose, che segnarono il
viaggio dell'opera verso Palermo nella “Vita di Raffaello da
Urbino” con le seguenti parole:
“Fece poi Raffaello per il Monastero di Palermo detto Santa Maria
dello Spasmo, de' frati di Monte Oliveto, una tavola d'un Cristo che
porta la Croce, la quale è tenuta cosa maravigliosa. Conoscendosi in
quella la impietà de' crocifissori che lo conducono alla morte al
monte Calvario con grandissima rabbia, dove il Cristo,
appassionatissimo nel tormento dello avvicinarsi alla morte, cascato
in terra per il peso del legno della croce e bagnato di sudore e di
sangue, si volta verso le Marie, che piangono dirottissimamente.
Oltre ciò si vede fra loro Veronica che stende le braccia
porgendogli un panno, con affetto di carità grandissima. Senza che
l'opera è piena di armati a cavallo ed a piede, i quali sboccano
fuora della porta di Gerusalemme con gli stendardi dalla giustizia in
mano, in attitudini varie e bellissime. Questa tavola, finita del
tutto, ma non condotta ancora al suo luogo, fu vicinissima a capitar
male, percioché, secondo che dicono, essendo ella messa in mare per
essere portata in Palermo una orribile tempesta percosse a uno
scoglio la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse e si
perderono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola solamente
che, così incassata come era, fu portata dal mare in quel di Genova;
dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina e per
questo messa in custodia, essendosi mantenuta illesa e senza macchia
o difetto alcuno, percioché sino alla furia de' venti e l'onde del
mare ebbono rispetto alla bellezza di tale opera, della quale,
divulgandosi poi la fama, procacciarono i monaci di riaverla, et
appena che con favori del Papa ella fu renduta loro, che,
satisfecero, e bene, coloro che l'avevano salvata. Rimbarcatala
dunque di nuovo e condottala pure in Sicilia, la posero in Palermo,
nel qual luogo ha più fama e riputazione che 'l monte Vulcano».
RAFFAELLO
ANDATA AL CALVARIO O “SPASIMO DI SICILIA”1515-16
Olio su tavola trasportato su tela cm 318
x229
|
Dal
1857 ha trovato la sua collocazione in una delle sale più importanti
del Museo del Prado.
Poiché
il dipinto era destinato alla chiesa palermitana consacrata al Dolore
(lo "Spasimo") della Vergine che assiste inerme alle
sofferenze di Cristo (da cui deriva la sua denominazione comune
di Spasimo
di Sicilia), tema
centrale del soggetto
è lo scambio drammatico di sguardi e di gesti tra Gesù e la Madre.
Rappresentativa è
l'immagine della Madonna che, pur sofferente, vive consapevole il
dolore senza cedere alla disperazione o a svenimenti: tale
atteggiamento ricalca la posizione ufficiale sostenuta dalla Chiesa.
Il dibatticto teologico di quegli anni sulla natura del dolore di
Maria era arrivato alla conclusione che “l'abbandono alla
disperazione o lo svenimento potevano implicare il dubbio sulla
resurrezione finale di Cristo”. Il dipinto di Raffaello deve essere
quindi considerato come la rappresentazione del corretto
comportamento della Vergine sulla via del Calvario18.
Anni prima, in occasione della realizzazione del drammatico Trasporto
di Cristo morto eseguito
a Perugia per Atalanta Baglioni il maestro aveva rappresentando Maria
svenuta, segno che ancora tale dibattito non si era sviluppato.
Tornando
a descrivere lo Spasimo di Sicilia, nel dipinto Raffaello manifesta
il suo interesse verso gli stati d'animo esasperati e carica di
tensione spirituale ed estetica la composizione impostandola secondo
uno schema a croce di Sant'Andrea, che
converge sulla figura del Cristo.
Questi, secondo l'inventario del Prado redatto nel 1857, caduto sotto
il peso della croce, annuncia alle pie donne la rovina di Gerusalemme
dicendo: “Non piangete per me, piangete per voi e i vostri figli”19.
Per
quanto nella fase esecutiva del quadro si sia accertato l'intervento
della bottega, nello specifico di Giulio Romano e di Giovanfrancesco
Penni (come del resto nella gran parte delle opere sia su tavola che
ad affresco realizzate nell'ultima fase della vita dell'artista) -
tuttavia l'invenzione è completamente di Raffaello che si riferì al
già citato Trasporto
di Cristo morto eseguito
a Perugia per Atalanta Baglioni, e completato nel 1507, di cui
riprende non solo lo svolgersi di un tema non consueto, un tema
drammatico che non prediligeva, ma anche quell'intrecciarsi di
sguardi fra alcuni dei protagonisti della scena. Questo realismo
nella resa espressiva di un momento altamente drammatico vede
Raffaello ancora aperto alle influenze della pittura nordica, pittura
che fu una delle componenti della sua formazione urbinate.
La gestualità espressiva, che sembra precorrere la sensibilità
barocca, e stata posta in relazione con alcune incisioni di artisti
nordici quali Martin Schongauer, Dürer
e Luca da Leida20.
Cristo,
nel drammatico momento in cui viene condotto alla morte, bagnato di
sudore e di sangue, cade sotto il peso della croce, mentre Simone
Cireneo si fa strada tra i carnefici e i soldati armati per aiutarlo.
La caduta ha riavvicinato per pochi istanti Gesù alla Vergine, la
quale, invano sostenuta dalla pie donne, si slancia verso di lui in
un gesto disperato, mentre sullo sfondo già appare il
Calvario.
Raffaello
dispone le sue monumentali figure ponendo molta cura nella
distribuzione dello spazio. Una linea discendente, da destra a
sinistra, accompagna e segue l'aumentare della concentrazione
emotiva, dai soldati che escono dalle mura di Gerusalemme, fino alle
teste, sempre più chine, delle pie donne. Allo stesso tempo questa
disposizione delle figure consente una scansione dei piani in
profondità, a partire dalla prima figura, che chinandosi lascia
spazio alle altre, mentre quelle dietro si alzano progressivamente.
La luce gioca un ruolo non secondario: illumina la testa bionda della
Maddalena, si riflette sulle lucide armature dei soldati, si diffonde
nel paesaggio sullo sfondo; un raggio di sole, infine, colpisce la
pietra in primo piano e consente di leggere la firma dell'artista
“RAPHAEL UR
BINAS”. Lo Spasimo di
Sicilia è altamente rappresentativo dello stile di Raffaello negli
ultimi anni della sua vita. Un profondo cambiamento stilistico
si era già manifestato negli affreschi della Stanza di Eliodoro in
Vaticano, dove compare un linguaggio di estrema tensione, con figure
energiche e potenti, memori di Michelangelo. La tensione emotiva
espressa nella scelta delle luci e dei colori e nell'agitato
dinamismo del dipinto raggiungerà risultati estremi nella
Trasfigurazione, ultima opera dell'artista.
Note
Note
2
Roberto Patricolo Lezione introduttiva alle origini di S.Maria dello Spasimo in Atti del seminario di studio sul complesso Monastico militare di S.M. dello Spasimo Palermo 1987
Roberto Patricolo Lezione introduttiva alle origini di S.Maria dello Spasimo in Atti del seminario di studio sul complesso Monastico militare di S.M. dello Spasimo Palermo 1987
3
Sulla gancia di S. Barbara, donata nel 1353 dal conte di Adrano Matteo Sclafani al priorato di S. Maria del Bosco, e più in generale sulle proprietà dell’ordine olivetano a Palermo, cfr. G. MENDOLA, Da Calatamauro allo Spasimo: gli Olivetani a Palermo, in L’Abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, a cura di A .G. Marchese, Palermo 2006, pp. 381-410.
Sulla gancia di S. Barbara, donata nel 1353 dal conte di Adrano Matteo Sclafani al priorato di S. Maria del Bosco, e più in generale sulle proprietà dell’ordine olivetano a Palermo, cfr. G. MENDOLA, Da Calatamauro allo Spasimo: gli Olivetani a Palermo, in L’Abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, a cura di A .G. Marchese, Palermo 2006, pp. 381-410.
5
Antonello Gagini fu una delle personalità di maggior rilievo nel panorama artistico della scultura siciliana rinascimentale e riuscì a proseguire il cambiamento stilistico già iniziato dal Laurana e da suo padre, Domenico Gagini, che avevano introdotto nella cultura artistica siciliana le tematiche e i repertori formali della nuova cultura rinascimentale dell’Italia centrale. La particolarità di Antonello fu proprio la capacità di elaborare quel rinnovamento nel contesto di una tradizione locale ispanizzante. Probabilmente grazie all’incontro con Michelangelo durante il soggiorno romano del 1505, l’artista poté arricchire il proprio linguaggio artistico.
Antonello Gagini fu una delle personalità di maggior rilievo nel panorama artistico della scultura siciliana rinascimentale e riuscì a proseguire il cambiamento stilistico già iniziato dal Laurana e da suo padre, Domenico Gagini, che avevano introdotto nella cultura artistica siciliana le tematiche e i repertori formali della nuova cultura rinascimentale dell’Italia centrale. La particolarità di Antonello fu proprio la capacità di elaborare quel rinnovamento nel contesto di una tradizione locale ispanizzante. Probabilmente grazie all’incontro con Michelangelo durante il soggiorno romano del 1505, l’artista poté arricchire il proprio linguaggio artistico.
7
Sulla figura di Antonio Belguardo, M. Vesco, Committenti e capomastri a Palermo nel primo Cinquecento: note sulla famiglia de Andrea e sull’attività di Antonio Belguardo, in «Lexicon. Storie e architettura in Sicilia», 2, 2006, pp. 41-50; F. Scaduto, Antonio Belguardo, in Gli Ultimi Indipendenti. Architetti del gotico nel Mediterraneo tra XV e XVI secolo, a cura di E. Garofalo, M. R. Nobile, Palermo 2007, pp. 181-203.
Sulla figura di Antonio Belguardo, M. Vesco, Committenti e capomastri a Palermo nel primo Cinquecento: note sulla famiglia de Andrea e sull’attività di Antonio Belguardo, in «Lexicon. Storie e architettura in Sicilia», 2, 2006, pp. 41-50; F. Scaduto, Antonio Belguardo, in Gli Ultimi Indipendenti. Architetti del gotico nel Mediterraneo tra XV e XVI secolo, a cura di E. Garofalo, M. R. Nobile, Palermo 2007, pp. 181-203.
8
Fulvia Scaduto, Antonio Belguardo: a master of the late Gothic in Western Sicily and some of his contemporaries, in 1514 Arquitectos Tardogoticos en la Encrucijada Editorial Universidad de Sevilla 2016
Fulvia Scaduto, Antonio Belguardo: a master of the late Gothic in Western Sicily and some of his contemporaries, in 1514 Arquitectos Tardogoticos en la Encrucijada Editorial Universidad de Sevilla 2016
12
cfr. V. SCUDERI, Contributo alla storia dell’architettura del Rinascimento in Trapani, in Atti del VII Convegno di Storia dell’Architettura, Palermo 1956, pp. 296-297.
cfr. V. SCUDERI, Contributo alla storia dell’architettura del Rinascimento in Trapani, in Atti del VII Convegno di Storia dell’Architettura, Palermo 1956, pp. 296-297.
16
R.A. González Mozo, R. Alonso Alonso, Reflexión ante la restauración del “Pasmo de Sicilia”, in “Boletín del Museo del Prado”, Vol. 29, N. 47, 2011
R.A. González Mozo, R. Alonso Alonso, Reflexión ante la restauración del “Pasmo de Sicilia”, in “Boletín del Museo del Prado”, Vol. 29, N. 47, 2011
19
Maria Dolores Jimenez-Blanco, Collezione di Pittura italiana in La guida del Prado pag.236 Museo Nacional del Prado 2016
Maria Dolores Jimenez-Blanco, Collezione di Pittura italiana in La guida del Prado pag.236 Museo Nacional del Prado 2016