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venerdì 17 gennaio 2014

CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI Il presbiterio


CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI 
Il presbiterio
(approfondimento a cura della prof. Gisella Duci)

L’ampio presbiterio della chiesa di Santa Ninfa (per tornare alla pagina con le informazioni generali clicca quì) è dominato dal dipinto raffigurante Santa Ninfa e le Sante Rosalia, Agata ed Oliva al cospetto della Trinità, della Madonna e di san Giuseppe, opera del pittore palermitano Gioacchino Martorana; dello stesso artista sono anche i quadroni a fresco che si trovano sulle pareti del coro e che rappresentano i Dottori della chiesa, con destra San Girolamo e San Gregorio Magno ed a sinistra Sant’Agostino e Sant’Ambrogio, e sempre del Martorana è l’affresco presente sulla volta, che ha per soggetto Il trionfo della croce tra gli apostoli. Sotto l’affresco è posto un grande rilievo in stucco dorato, attribuito a Vittorio Perez, che rappresenta La traslazione della reliquia di Santa Ninfa in cattedrale; l’altare in marmo è invece opera di Giuseppe Venanzio Marvuglia, che fu senz’altro il più importante architetto operante in Sicilia tra la metà del’700 e la prima metà dell’800.

L’affresco dell’altare

Il grande affresco (11,70x5,65 metri), dipinto con la tecnica dell’olio su muro, è racchiuso dentro una cornice dorata e decorata con stucchi e reca in basso a destra la firma e la data “Gioacchino Martorana 1768”. Il suo soggetto è Santa Ninfa e le Sante Rosalia, Agata ed Oliva al cospetto della Trinità, della Madonna e di San Giuseppe. Al centro dell’opera campeggia infatti Ninfa, santa titolare della chiesa, riconoscibile per il vaso con il fuoco, suo attributo iconografico ben visibile a destra ed il cui significato è da ricondurre alla fede ed all’innocenza in quanto allude alla “prova del fuoco”. La Santa è raffigurata nell’atto di rivolgersi al cielo, dove, tra una moltitudine di angeli e cherubini, si possono osservare la Madonna Immacolata al centro, San Giuseppe a destra e la Trinità, con Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in forma di colomba in alto.
Nella parte inferiore del dipinto sono invece rappresentate le altre Sante Vergini patrone di Palermo: Rosalia, Agata e Oliva. Santa Rosalia si trova sulla sinistra del dipinto, rivolta alla Vergine; al suo fianco ci sono degli angeli che reggono un drappo che contiene delle rose, ed ai suoi piedi si trovano dei putti che giocano con la palma ed il giglio, simboli del martirio e della purezza delle Vergini, e con il teschio, ricordo della peste e consueto attributo iconografico, insieme alle rose, della “Santuzza”.
Da rilevare, alle spalle di Santa Rosalia, la veduta di un porto, che probabilmente alludealla città di Palermo. Alla destra del quadro si può invece osservare Sant’Agata, che indica il proprio petto e regge in mano un vassoio con i seni che le furono tagliati, mentre le tenaglie, anch’esse frequente attributo iconografico della Santa, sono ben visibili nell’angolo destro del quadro, sotto il gruppo dei putti. Sant’Agata è raffigurata nell’atto di conversare con Sant’Oliva, riconoscibile per il ramoscello d’ulivo che regge in mano e per il turbante che ha in testa, elemento quest’ultimo che è spesso presente nelle raffigurazioni di questa Santa e che allude al suo soggiorno a Tunisi.
Lo stile dell’opera rivela senza dubbio la conoscenza da parte del Martorana dei più importanti esempi della pittura rococò romana, infatti, come si dirà più avanti, l’artista palermitano ebbe modo di soggiornare a lungo a Roma e conobbe i più grandi pittori dell’epoca come Pompeo Batoni, Sebastiano Conca e Marco Benefial.
L’opera si caratterizza per l’impostazione su due diagonali che servono a conferire profondità allo spazio, e per l’eleganza delle monumentali delle figure, rese con solida plasticità ed ingentilite dai colori brillanti. Lo storiografo Padre Fedele da San Biagio nel 1788 così si esprimeva nei confronti dello stile del Martorana: “...usava più colori vivaci ed ardenti, che son quelli che maggiormente abbagliano la vista di chi non capisce il forte della pittura , e nel suo trattare era sciolto, pronto, spiritoso, ed esprimente nel far concepire il bello della pittura”.

Le Sante Patrone della città : Ninfa, Rosalia Agata ed Oliva
Uno dei motivi di interesse del dipinto posto sull’altare di Santa Ninfa dei Crociferi è senz’altro dovuto al fatto che vi sono raffigurate le Sante Vergini Patrone di Palermo, testimonianza di un’antichissima tradizione che le vede frequentemente rappresentate insieme, sia in quadri devozionali sia nel contesto di importanti “opere pubbliche”, come ad esempio i Quattro Canti di città. E’ interessante notare che Santa Rosalia divenne patrona di Palermo solo nel 1624, e che prima di lei nelle raffigurazioni delle quattro Sante Patrone c’era Santa Cristina, la cui immagine, però fu gradualmente “sacrificata” perché era l’unica a non avere origini siciliane, essendo nata sul lago di Bolsena. Poiché si ritiene superfluo fornire notizie su Santa Rosalia, si danno di seguito cenni sulla vita delle altre Sante Patrone rappresentate nel dipinto di Gioacchino Martorana.

Santa Ninfa

Secondo le notizie contenute in un manoscritto medievale, Santa Ninfa nacque a Palermo al tempo dell’imperatore Costantino, cioè agli inizi del IV secolo d. C., ed era figlia di Aureliano, il prefetto della città . Dopo avere incontrato il vescovo Mamiliano la giovane si convertì al cristianesimo suscitando le ire del padre, il quale per farla recedere dalla sua decisione la fece arrestare: la fanciulla tuttavia non cambiò idea ed in carcere ricevette la visita di un angelo che la liberò e la condusse insieme al vescovo Mamiliano in riva al mare, dove trovò una barca ad attenderla. Fu così che i due partirono, raggiungendo prima l’Isola del Giglio dove trascorsero un periodo di preghiera, e successivamente Roma. Quando Mamiliano morì, Ninfa lo fece seppellire nella località di Bucina, luogo dove qualche tempo dopo ella stessa morì e fu sepolta in una cripta destinata ai martiri. La sua fama di santità si diffuse presto presso gli abitanti del luogo, che in occasione di una tremenda siccità, la invocarono ottenendo il miracolo della pioggia. Da quel momento Ninfa fu venerata come santa e il suo culto si diffuse successivamente in tutto il meridione d’Italia. Il 5 settembre 1593 l’urna argentea contenente la reliquia della sua testa fu traslata dalla chiesa romana di Santa Maria in Monticelli alla cattedrale di Palermo, dove le fu dedicata una cappella nel 1598. Di questo importante evento troviamo testimonianza nel grande bassorilievo in stucco che si trova sotto il dipinto dell’altare, che mostra la scena della processione. Da sottolineare che una statua di Santa Ninfa si trova in uno dei “Quattro Canti”, e precisamente nel cantone di nord ovest, quello a destra guardando Porta Nuova, che presiede simbolicamente al quartiere Capo o Monte di Pietà di cui fa parte il segmento di via Maqueda nel quale si trova appunto la chiesa.

Sant’Oliva

Sant’Oliva è stata in passato una delle più venerate sante patrone di Palermo. La leggenda narra che nacque nel 448 da una nobile famiglia forse palermitana, e che, a causa della sua conversione al cristianesimo, fu inviata in esilio a Tunisi, dove operò miracoli ed iniziò a convertire i pagani; per questo motivo fu relegata nel deserto, dove riuscì ad ammansire leoni, dragoni e serpenti e fu successivamente rinchiusa in carcere dove subì una serie di terribili supplizi dai quali uscì indenne, fino a quando non morì decapitata il 10 giugno 463.
Secondo la tradizione dopo la morte il suo corpo fu rapito da alcuni cristiani, e fu sepolto segretamente a Palermo, in un luogo presso le mura della città che la tradizione ha da sempre identificato con la contrada di Sant’Oliva, e che oggi corrisponde alla centralissima Piazza San Francesco di Paola. In questo luogo già nel 1310 è attestata la presenza di una cappella dedicata alla Santa e nel 1485 vi si stabilì la maestranza dei Sartori che ingrandì la cappella e, intitolò la propria confraternita a Sant’Oliva; in seguito la chiesetta fu ceduta ai Frati di San Francesco di Paola, che costruirono l’attuale chiesa nella quale permangono tuttavia molte testimonianze legate al culto di Sant’Oliva come la cappella a lei dedicata, o una statua argentea conservata in sacrestia E’ inoltre interessante ricordare che a Tunisi esiste una moschea chiamata “Jami al Zaituna”, cioè “moschea dell’oliva”, che sorge nel luogo dove un tempo c’era una chiesa a lei dedicata, e che nella città araba Sant’Oliva è ancora oggi venerata superstiziosamente, si crede infatti che bestemmiando il suo nome si possa incorrere in gravi sventure e si ritiene addirittura che quando sarà ritrovato il suo corpo l’Islam avrà fine.

Sant’Agata

Per molti secoli si è a lungo dibattuto sul luogo di nascita di Sant’Agata, che secondo alcuni sarebbe
stato Palermo e secondo altri invece Catania, opinione quest’ultima più diffusa e che ha finito per prevalere.
Secondo la tradizione Sant’Agata nacque nel III secolo da nobile famiglia e subì il martirio sotto l’imperatore Decio; convertitasi presto al cristianesimo, respinse le profferte del prefetto romano Quinziano che si era invaghito di lei, e fu per questo gettata in carcere e sottoposta a diverse torture, tra le quali la più atroce fu l’estirpazione delle mammelle, terribile mutilazione che fu tuttavia guarita da San Pietro che le apparve in carcere.
In seguito la fanciulla fu sottoposta ad altre atroci torture, come la prova dei carboni ardenti, e quando morì a Catania vi fu un terremoto. All’anniversario del suo martirio vi fu un’eruzione dell’Etna, e gli abitanti di Catania furono salvati grazie al miracoloso velo della Santa, che deviò il flusso della lava. Sant’Agata è generalmente raffigurata in ricche vesti, che simboleggiano le sue nobili origini, e tra i suoi attributi iconografici i più frequenti vi sono un piatto con le mammelle e le tenaglie che furono strumento del suo supplizio. Nella città di Palermo si conserva in Cattedrale la reliquia del suo braccio, ed il culto di Sant’Agata è legato ad un’impronta che la Santa avrebbe lasciato in una roccia conservata oggi nella Chiesa di Sant’Agata la pedata, in via del Vespro. La chiesa di Sant’Agata alla Guilla in via del Celso invece corrisponderebbe al luogo nel quale, secondo la tradizione dei fautori dell’origine palermitana della Santa, si trovavano la casa ed i giardini della sua famiglia.

Gioacchino Martorana

Gioacchino Martorana nacque a Palermo nel 1735 e morì nella stessa città nel 1779. Apprese la tecnica pittorica dal padre Pietro, anch’egli pittore, e nel 1749 si trasferì a Roma, dove studiò con importanti artisti come il Benefial ed il Conca.
Rientrato definitivamente nella sua città natale , nel 1768 dipinse il quadro per l’altare di Santa Ninfa, considerato già dai contemporanei il suo capolavoro, e successivamente divenne uno dei più richiesti ed affermati pittori del panorama artistico palermitano della seconda metà del ‘700, ricevendo importanti commissioni e decorando ad affresco le sale di importanti residenze nobiliari, come i Palazzi Comitini, Butera, Natoli e Costantino.
Il letterato ed antiquario Agostino Gallo ( 1790-1872), nel suo manoscritto risalente alla prima metà del XIX secolo intitolato Notizie di pittori e mosaicisti, definì Gioacchino Martorana “spadaccino, attaccabrighe e libertino”, contribuendo a creare una fantasiosa immagine del pittore come di un uomo trasgressivo ed anticonformista e dando l’avvio ad una tradizione che è arrivata fino alla prima metà del Novecento, quando l’erudito Luigi Sarullo, nel suo Dizionario degli artisti siciliani, afferma che il Martorana addirittura avrebbe commesso un omicidio e per sfuggire alla cattura si sarebbe rifugiato nella Casa dei Padri Crociferi presso la chiesa di Santa Ninfa, dove avrebbe eseguito gli affreschi del presbiterio per ringraziare i Padri della possibilità di salvezza offertagli.
Oggi tuttavia questa vicenda viene ritenuta dagli studiosi priva di fondamento in quanto non è stato ritrovato nessun documento a riprova dei fatti e si ritiene invece più probabile che il Martorana abbia ricevuto la commissione dai Padri Crociferi per mezzo di Giuseppe Venanzio Marvuglia, il grande architetto che ebbe modo di conoscere durante il suo soggiorno romano; il fatto che lo stesso Martorana eseguì il ritratto del Marvuglia (foto a sinistra) che oggi fa parte del Famedio della Biblioteca Comunale sembrerebbe comprovare l’ipotesi di un rapporto di conoscenza e collaborazione tra i due.




I santi dottori della Chiesa

Dopo avere dipinto il grande affresco sull’altare il Martorana si dedicò a dipingere la serie dei Quattro dottori della Chiesa sulle pareti dell’abside. Ciascun affresco misura cm. 295x180 ed è racchiuso dentro una cornice in gesso. Le imponenti figure si caratterizzano per gli effetti volumetrici e prospettici, e sono testimonianza della completa maturità raggiunta dall’artista.

San Girolamo

San Girolamo (342-420) è in genere raffigurato anziano, con barba e capelli bianchi, e tra i suoi attributi iconografici più frequenti c’è il leone, infatti, secondo una leggenda, Girolamo trasse una spina dalla zampa di un feroce leone e da quel momento l’animale gli fu amico. Nella raffigurazione che ne ha fatto il Martorana, notevole sia per l’aspetto fisionomico che per l’attento studio dell’anatomia, è interessante notare il piccolo frammento di carta che esce dal libro delle sacre Scritture che il Santo tiene in mano, dove si legge “ G. M. F. di a. 33”, cioè “Gioacchino Martorana fece di anni 33”.
Questo documento ha permesso agli studiosi di risalire all’anno di nascita dell’artista, che è il 1735 e non il 1728, come un tempo erroneamente si riteneva.



San Gregorio Magno

Gregorio Magno (540 ca- 604), come pontefice dimostrò doti eccellenti nel governare ed istituì tra l’altro le forme ufficiali della liturgia romana e del canto liturgico, cioè il canto gregoriano. E’ per lo più raffigurato vestito da pontefice, con la tiara, ed un suo caratteristico attributo è la colomba dello spirito santo librata in aria presso il suo capo, ad indicare l’ispirazione divina dei suoi scritti.

Sant'Agostino

Agostino di Ippona (354-430) oltre ad essere uno dei Dottori della Chiesa, è stato forse il celebre ed autorevole teologo che la Chiesa abbia avuto. E’ in genere raffigurato in abiti vescovili, con mitra e pastorale ed è anziano; a volte, come in questo caso è rappresentato seduto ad uno scrittoio con la penna in mano.
E’ interessante osservare il foglio che nella raffigurazione del Martorana esce dal libro sul quale il Santo sta scrivendo, infatti in esso si leggono le seguenti parole: “Gioac. Martorana ringrazia gli Giuliani delli Onori o Caricature che sogliono fare per il complimento a forestieri o paesano uomeni conosciuti”. La frase, dal significato non del tutto chiaro, può essere letta come un ironico ringraziamento ai committenti che finanziavano gli artisti, a conferma del carattere bizzarro che la tradizione ha da sempre attribuito all’artista. Padre Fedele da San Biagio, storiografo che scrisse nel 1788, ci dice ad esempio che il Martorana era “un giovane di bella figura, pieno di talento e di spirito, amante dei passatempi, la buona tavola e gli agi della vita”.


Sant’Ambrogio

Sant’Ambrogio (340?-397) fu vescovo di Milano e divenne famoso come teologo ed autorità ecclesiastica.
Visse in un’epoca di aspre contese ed ebbe parte importante nella lotta contro la dottrina dell’Arianesimo, ritenuta eretica. Viene in genere raffigurato anziano e veste abiti episcopali.



Gli affreschi della volta 



Il tema iconografico degli affreschi dell’abside (Martirio e Dottori) si completa con la decorazione della volta del cappellone, in cui il Martorana ha dipinto Il trionfo della croce.
Per rappresentare questo tema il pittore ha scelto di raffigurare l’apostolo Giovanni che con la spada difende la Croce, mentre altri apostoli assistono alla scena ed alcuni angeli sono impegnati a scacciare le eresie, impersonate da uomini vestiti in maniera esotica.
Risalta nella scena il grande interesse dell’artista per le vivaci cromie e per gli scorci prospettici, come si può osservare nella parte inferiore dell’affresco, dove un infedele scacciato da un angelo sembra quasi cadere giù protendendosi al di fuori della cornice, con arditi effetti di illusionismo spaziale. Ai lati di quest’affresco si trovano due medaglioni dipinti a monocromo nei quali sono raffigurati l’apostolo Andrea a sinistra, e l’apostolo Pietro, con il libro e le chiavi in mano, a destra.




La finta cupola 


S.Marco e il leone
S.Giovanni e l'aquila
Nel progetto originario della chiesa era prevista una grande cupola proporzionata alla vastità dell’ambiente, ma per mancanza di mezzi economici essa non fu mai realizzata ed al suo posto si fece una copertura piana a soffitto. Nel XIX secolo questo soffitto fu decorato con un interessante effetto illusionistico di trompe l’oeil dal pittore Gaetano Riolo, che sembra essersi ispirato all’illustre esempio della chiesa romana di sant’Ignazio di Loyola, dove il celebre Andrea Pozzo aveva dipinto una tela prospettica che riusciva a riprodurre l’immagine di una cupola in realtà non esistente.
S.Matteo e l'angelo
S.Luca  e la Madonna
Gaetano Riolo, fratello del più noto Vincenzo, fu un pittore palermitano ricordato dagli storiografi come “prospettico e scenografo valoroso”. Di lui si sa che morì nel 1856 già piuttosto anziano, che fu scenografo del Teatro Carolino di Palermo e che fu tra i pittori delle prospettive per la macchina pirotecnica per la festa patronale di Santa Rosalia. Nei pennacchi della finta cupola si trovano dipinte le figure dei Quattro Evangelisti, che sono state attribuite a Gaetano Li Volsi, pittore nato a Palermo nel 1797 e morto nel 1837 il quale, insieme al Riolo, fece parte del gruppo di artisti che lavoravano
come scenografi presso il Teatro Carolino.

Il sarcofago dietro l’altare
 

Dietro l’altare è posto un sarcofago dove è stato seppellito Francesco Lucchese, marchese di Lucca, , ci limiteremo pertanto in questa sede a produrre la documentazione fotografica del reperto.
morto nel 1624 all’età di 34 anni e marito della nobildonna Francesca Perollo, che donò alla Chiesa di Santa Ninfa 25 mila scudi per la costruzione della cappella maggiore. Per le notizie sulla nobile famiglia dei Lucchese da cui prende il nome la cittadina di Lucca Sicula in provincia di Agrigento, si rimanda allo studio condotto dalla Prof.ssa Lucia Palumbo (notizie sulla chiesa di S.Ninfa).

Il sarcofago è stato realizzato in “pietra di paragone”, che è l’antico nome di una varieta' di diaspro nero, scientificamente conosciuta come "litide", e comunemente detta "pietra di paragone" perché usata fin dai tempi più antichi per saggiare i metalli preziosi, come l'oro. Su una pietra di paragone può essere infatti verificata la purezza di qualsiasi metallo tenero confrontando il colore delle tracce che si formano strofinandovelo sopra. Il diaspro e' una roccia silicea, usata anche come gemma di piccolo pregio.

BIBLIOGRAFIA

De Seta C. , Spadaro M. A. , Troisi S. Palermo città d’arte , Palermo 2002

Di Natale M. C. Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo , 2006

Giuliana Alajmo A. La Chiesa di Santa Ninfa detta dei Crociferi, Palermo 1964

Hall J. Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte , Varese, 2003

Malignaggi D. , La pittura del Settecento a Palermo, Palermo, 1977

Mazzé A. Memoria di Gioacchino Martorana , Palermo, 1979



Tutte le foto sono di I. F. Ciappa.

Si ricorda che è vietata la riproduzione e l'utilizzo di parti del testo e delle foto senza che se ne citi l'origine.

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