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sabato 25 gennaio 2014

CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI

Il testo che segue è tratto dai materiali utilizzati nell'anno 2008, in occasione dell'"adozione" della Chiesa di S.Ninfa dei Crociferi, dagli studenti del Liceo Classico "G.Garibaldi" di Palermo.



CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI 
(a cura della prof. Lucia Palumbo)

La Palermo dei viceré
Pianta di Palermo di Matteo Florimi 1581 
Tra il 1415 e il 1712 la Sicilia è sotto il dominio spagnolo, ma gli Asburgo di Spagna governano l’isola attraverso un proprio viceré che risiede a Palermo; perciò Palermo si propone come una grande capitale e, soprattutto negli ultimi anni del XVI secolo e nel corso di tutto il XVII, i viceré, la Chiesa e la nobiltà locale promuovono una serie di interventi urbanistici ed architettonici miranti a dare prestigio alla città ed a razionalizzarne il disegno.
Nella metà del ‘500 la città conservava la trama viaria medievale, in cui il Cassaro (oggi corso Vittorio Emanuele) era l’asse centrale sin dall’iniziale insediamento fenicio. Fra il 1567 e il 1581 il Cassaro, che da allora all’unità d’Italia verrà chiamato via Toledo dal nome del viceré in carica, venne rettificato e prolungato sia a monte che a valle. La nuova via tagliava così nettamente in due parti la città ed assunse il carattere di asse direzionale lungo il quale si dislocavano le principali attrezzature urbane. Si costruirono anche due nuove porte ai suoi estremi: Porta Nuova, a sud-ovest, fu progettata nel 1569 e costruita a partire dal 1583; Porta Felice, a nord-est, prese il nome di donna Felice Orsini, moglie del viceré Marcantonio Colonna e fu realizzata tra il 1582 e il 1632.
Il 4 novembre 1597 il Senato Palermitano deliberò la costruzione della Strada Nuova o Maqueda (dal viceré Don Bernardino Cardines duca di Maqueda che il 24 luglio del 1600 diede il primo colpo di piccone); il nuovo asse tagliava ortogonalmente la via Toledo nella sua parte mediana, divideva così la città in “quattro nobili parti”, operando a Palermo una radicale ristrutturazione interna. Si tratta di un'operazione senza precedenti nell'Europa del '500 che richiede sventramenti di case, chiese, importanti monumenti, tagli di giardini e campi, riempimento di paludi, stagni, canali e vecchi alvei di fiumi, demolizioni a tappeto per oltre 1400 metri in piena città. Tuttavia i brutali sventramenti non costituirono un'occasione per rinnovare il sostrato urbano delle aree attraversate e riqualificare gli antichi spazi, che mantennero intatto il "disordine" medievale.
La costruzione dei Quattro Canti, avviata il 21 dicembre 1608 dal viceré don Juan Fernàndez Pacheco, marchese di Villena, e definitivamente completata nel 1663, nobilitò, con la sua sfarzosa teatralità, il nuovo crocevia dando origine – secondo le testimonianze del tempo – alla «più superba e beninteso fabbrica non pur nella nostra città; ma etiandio nell’Universo; tanto è mirabile e sopra ogni pensiero umano».
Il progetto iniziale, concepito con grande monumentalità dall’architetto fiorentino (o romano) Giulio Lasso, fu portato a compimento nel 1620 dal palermitano Mariano Smeriglio (1561 – 1636), ma le opere collaterali di fregi in stucco, statue e fontane, si protrassero almeno fino al 1663.
Le facciate concase dei quattro palazzi d’angolo sono caratterizzate, nell’ordine inferiore, da una fontana, che a sua volta richiama le quattro stagioni. L’ordine mediano, invece, raccoglie entro dei nicchioni le statue dei quattro ultimi sovrani di Spagna (Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV). Le statue marmoree delle sante patrone, infine, sono collocate entro altrettanti nicchioni del terzo ordine, fra vari fastigi e decori allegorici. La piazza fu intitolata al viceré Villena, ma fu detta con enfasi "Teatro del Sole".
Da ciascuno dei quattro Canti si dipartiva una nuova suddivisione territoriale ed amministrativa in altrettanti quartieri (detti mandamenti), ognuno dei quali prende nome da una delle quattro protettrici della città cui è dedicato o dalle strutture emergenti che ospitano: Santa Cristina (Mandamento Palazzo Reale o Albergheria), Santa Ninfa (Mandamento Monte di Pietà o Capo), Sant’Agata (Mandamento Tribunali o Kalsa) e Santa Oliva (Mandamento Castellammare o Loggia).

La costruzione della chiesa

Benché le notizie su di lei siano alquanto oscure, il culto di S.Ninfa è particolarmente diffuso in Sicilia e un centro del trapanese ne porta persino il nome. Per disposizione di Papa Clemente VIII, il 5 settembre 1593 l'urna argentea contenente la testa di Santa Ninfa giunse a Palermo, sua città natale.
Gaspare Firriolo, "Martirio di S.Ninfa", rilievo in stucco


La reliquia fu accolta solennemente dal Senato cittadino prima di essere riposta sotto l’altare della cattedrale, dov'era venerata almeno dal 1483. La traslazione dell'urna, dalla chiesa romana di Santa Maria in Monticelli alla città natale, era stata resa possibile per l'attiva opera di mediazione che la Contessa d'Olivares riuscì a compiere presso il Vaticano.
La Chiesa di S. Ninfa dei Crociferi è una delle prime ad essere realizzata lungo il nuovo asse di via Maqueda, sul margine del mandamento dedicato alla stessa santa. La prima pietra fu posta il 10 agosto 1601, alla presenza di S.Camillo de Lellis, fondatore dei Padri Ministri degli Infermi, detti Crociferi. La notizia è riportata dal biografo contemporaneo di S. Camillo, P. Sanzio Cicatelli, che così scrive: "Visitò poi la Sicilia, e prima la Casa di Palermo, dove andò à Golfo Lanciato con cinque Galee di Spagna, nella qual Città mai piu non era stato fin dal tempo, che fù soldato, quando ivi si giuocò
Vittorio Perez, "S. Camillo pone la prima pietra"
ogni cosa: Dove fù questa volta con tanta divotione ricevuto, che l'istesso Vicerè Duca di Maqueda, essendo andato Camillo a visitarlo, lo vidde, e raccolse con tanta riverenza, che sempre gli parlò scoperto et in piedi. Anzi si compiacque il medesimo Vicerè, con l'intervento dell'Arcivescovo D. Diego d'Aedo, che benedisse, e consacrò la prima pietra della nostra Chiesa di Santa Ninfa, di buttarla esso ne' fondamenti con sollenne pompa, et apparato nella presenza di Camillo, per la gran divotione, che gli portava: il che fù nel fine d'Agosto (1601)".Difficoltà finanziarie ne rallentarono i lavori e la chiesa fu aperta al culto nel 1660, ma ancora priva del prospetto e dei decori interni. Probabilmente il progetto fu redatto a Roma, nella Casa Generalizia dell’Ordine, e adattato in loco a cura del capomastro Giovanni Macolino. Successivamente la direzione dei lavori passò, nell'ordine, agli architetti crociferi Giacomo Amato (Palermo, 1643 - 1732) (vedi biografia), poi Giuseppe Clemente Mariani (Pistoia, 1681 - Lentini, 1731), infine Ferdinando Lombardo († 1764) e Giuseppe Venanzio Marvuglia (1729 - 1814) (vedi biografia).
Vittorio Perez, "S.Camillo cura gli infermi"

L'esterno

Ferdinando Lombardo assistito da Giuseppe Venanzio Marvuglia realizza tra il 1750 e il 1760 la facciata in pietra d’Aspra, che si ispira alle linee tardo cinquecentesche degli edifici romani; essa si compone di due livelli; sia nel primo che nel secondo coppie di paraste poste a fianco delle aperture, sono collegate tra di loro da una trabeazione; il primo livello si rifà ai caratteri dell’ordine dorico, il secondo a quello ionico. La parte centrale, fortemente elevata, è coronata da un frontone al cui interno campeggia lo stemma dei Crociferi affiancato da festoni; essa presenta un’ampia finestra sormontata da timpano curvilineo, si raccorda mediante volute decorate con festoni a stucco alle due ali laterali, ai cui estremi svettano snelle piramidi; i festoni e gli altri decori in stucco dell’intera facciata sono opera di Luigi Romano.
Si accede all’interno mediante tre portali rettangolari, i due minori timpanati, tutti e tre sormontati da rilievi in stucco istoriati: i due riquadri laterali, raffiguranti a sinistra S. Camillo che cura gli infermi e a destra S. Camillo che pone la prima pietra della chiesa di S. Ninfa, sono opere di Vittorio Perez (vedi biografia), quello contenuto entro una cornice ellittica, sul portale maggiore, che mostra il Martirio di S. Ninfa, è invece opera di Gaspare Firriolo (vedi biografia).
Una entrata secondaria alla chiesa si apre lateralmente al n° 6 di via Celso, anch’essa contrassegnata dallo stemma dei Crociferi.
La chiesa, danneggiata dalla guerra e poi dal terremoto del 1968, è stata riaperta al pubblico nel 1979.
Alla destra della facciata si apre una cappella 1 in cui è custodito dal 1722 un Ecce Homo in mistura (tecnica simile alla cartapesta).
Adiacente al lato sinistro della chiesa vi è, invece, l'edificio dell'ex Casa Conventuale dei Crociferi, anch'essa costruita a partire dall'inizio del XVII sec.

 
L'interno
Lo sviluppo interno è quello tipico di tante Chiese del periodo della Controriforma, derivato dalla romana Chiesa del Gesù del Vignola e presenta lo schema a croce, con un ampio presbiterio quadrato al termine di un’unica ampia navata coperta da volta a botte lunettata, affiancata da profonde cappelle tra loro comunicanti. All’incrocio del braccio longitudinale con il transetto doveva essere prevista una cupola, ma al suo posto, nel XIX sec., fu dipinta a “trompe l’oeil” sul soffitto piano una falsa cupola, opera di Gaetano Riolo († 1856), fratello di Vincenzo, scenografo del Real Teatro Bellini di Palermo. Nei quattro pennacchi, Giovanni Li Volsi ha dipinto gli Evangelisti.
La luce giunge dall’alto dalla finestra di facciata e dalle altre che si allineano ai due lati della navata, aldilà dell’altezza delle cappelle.
Numerosi monumenti funebri e lapidi con iscrizioni funerarie si trovano un po’ dappertutto, nei vari ambienti della chiesa e sepolture accoglie anche la cripta; la chiesa custodisce i resti mortali di diversi padri crociferi, tra i quali gli architetti Paolo e Giacomo Amato, Giovan Battista Vaccarini e Ferdinando Lombardo, e, inoltre, quelli di esponenti della nobiltà siciliana, molti dei quali hanno contribuito, con le loro offerte, alla realizzazione dell'edificio. Il sarcofago in "pietra di paragone" (diaspro nero) posto dietro l’altare è probabilmente il più antico, esso è sormontato da un’epigrafe che ricorda:

D.O.M.  
PROECLARÆ VIRTUTES QUÆ D. FRAN° LUCCHESIO 
MARCHION LUCCÆ BARONI CVLLÆ, ET GRATIÆ AD 
SVPEROS VIAM ST. A ERE NIHIL EIVS PRÆTERQVAM
QVOD OSSA CLAVDIS VN HOC TVMVLO AB VXORE 
AMANTISSA DA FRANA LUCCHESIO ET PEROLLO, MARCHIONISSA 
LUCCÆ, BARONISSA CVLLÆ ET GRATIÆ POSITO 
OBYT XXXIIII AGENS ANUM VI° IDS AVGVSTI 1624
BENE FVNCTA PRIVS M PORTOLANI DIGNITATE” .



Si tratta dunque della sepoltura voluta da Francesca Perollo, "moglie amatissima" di Francesco Lucchesi Palli Principe di Castelfranco, per il proprio coniuge, morto all'età di 34 anni. La nobile famiglia Palli vantava origini antiche, da Adinolfo, figlio della sorella del re longobardo Desiderio, ed aveva avuto il governo della Repubblica di Lucca, in Toscana. Francesco Lucchesi Palli aveva sposato Francesca Perollo nel 1609, che aveva portato in dote il feudo di Culla (nel territorio a nord-ovest di Agrigento) e, nel 1620, era divenuto Marchese del Feudo di Culla con privilegio di Filippo IV di Spagna, reso esecutivo dal Parlamento Siciliano nel 1624, con diritto allo stemma (scudo rosso con tre palle d'oro). Con licentia populandi ottenuta nel 1622, la Perollo fondò un nuovo centro nel feudo di Culla e, in seguito, lo denominò Lucca in onore della città d'origine del compianto marito. Il nome del paese è divenuto Lucca Sicula dopo l'Unità d'Italia, nel 1863. I padri crociferi concessero alla Marchesa di Lucca lo Jus patronato del presbiterio nel 1624, quando la nobildonna aveva donato 25000 scudi per la sua costruzione.

Procedendo dall'ingresso lungo la parete destra della navata verso il presbiterio, si incontrano:
Alla destra dell’ingresso il monumento funebre di Don Giuseppe Giurato 2 disegnato dal Marvuglia e realizzato da Filippo Pennino (1772).

La Cappella di S. Giuseppe o della Sacra Famiglia 3 ideata e realizzata a proprie spese, nel 1726, dall’arch. crocifero Giuseppe Clemente Mariani, accoglie dipinti del pittore fiammingo Guglielmo Borremans (Anversa, 1672 - Palermo, 1744). L'artista si era trasferito a Napoli nel 1707, quindi, dal 1715, è stato attivo in Sicilia, dove ha svolto un ruolo fondamentale nel rinnovamento della tradizione decorativa tardo barocca nella direzione della nuova maniera rococò, prediligendo una stesura pittorica rapida e mossa e un impasto coloristico luminoso.

Del maestro si apprezzano qui tre immagini sacre, purtroppo piuttosto scurite e che richiederebbero adeguati interventi di restauro.
Sull’altare centrale, tra due semicolonne composite collegate da un timpano curvilineo spezzato, è raffigurato il Transito o Morte di S. Giuseppe (foto a destra): al centro Cristo benedice Giuseppe, che giace sul letto di morte, assistito da Maria; in primo piano e in profondità angeli assistono alla scena. La scansione dei personaggi su tre piani in profondità e lo scorcio del letto di Giuseppe costruiscono la prospettiva. Il cromatismo acceso dei colori primari e la luce che promana dal capo di Cristo contrastano con la generale penombra.
Sulla parete sinistra, (foto in alto a sinistra) entro una cornice ovale, troviamo La sacra Famiglia: mostra in primo piano la Vergine che regge in braccio il Bambino e due angeli sulla sinistra, mentre Giuseppe rimane in secondo piano e più in ombra, a destra. Di fronte, sulla parete sinistra, contenuto in analogo ovale, c'è S. Giuseppe falegname: in secondo piano, a destra, Giuseppe distoglie lo sguardo dal suo lavoro e lo rivolge al piccolo Gesù, in primo piano a sinistra; seduto ad un tavolino, anche lui impugna il martello ed è intento ad unire le assi di una piccola croce, assistito da due angeli, sotto lo sguardo della Madre.  Originariamente in questa cappella era stata posta la statua gaginesca della Madonna (oggi nella sacrestia 9), voluta da Don Baldassare Bologna, il quale deteneva lo Jus patronato della stessa cappella. 

La Cappella di S. Venanzio 4, dedicata al santo nel 1718, presenta sulla parete di fondo una pala d’altare di anonimo, del 1724, raffigurante il Martirio di S. Venanzio, commissionata da Donna Margherita Castelli Colonna Principessa di Castelferrato (AN) e probabilmente eseguita a Roma.
Il dipinto è circondato da una cornice in stucco a cimasa curvilinea retta ai lati da due angeli, realizzata da Giacomo Serpotta (1656-1732) (vedi biografia), o dal figlio Procopio, su probabile disegno dell’architetto Giacomo Amato, lo stesso con il quale il Serpotta lavorerà nell’Oratorio di S. Lorenzo. L’organizzazione dell’insieme, con i due angeli che affiancano il dipinto, rimanda a modelli romani; gli angeli dai volti espressivi, si librano con naturalezza e presentano abbondanti panneggi svolazzanti.
Sulla volta, l’Eterno Padre, affiancato da due riquadri e due lunette raffiguranti putti: sono opere del pittore palermitano Antonio La Barbera, come i quadri laterali ad olio con S. Liborio e S. Venanzio.

La Cappella del Sacro Cuore 5 presenta sull’altare una statua ottocentesca del Cuore di Gesù, là dove era posta in origine la gaginesca statua della Madonna, oggi in sacrestia. Sulla volta è un affresco che rappresenta la Madonna Assunta (XVIII sec.). Nella cappella erano conservate due Crocifissioni, una, novellesca, della prima metà del XVII sec. e l’altra, con Storie di Cristo, del XVI sec.

A conclusione della parete destra della navata, occupa il braccio destro del transetto l'ampio Cappellone di S. Ninfa.
Nella parete destra, ospita il monumento funebre di Donna Petronilla Lombardo (†1667) 6, un sarcofago retto da grifoni sormontato da un’edicola con il busto della defunta.
Maestoso l’altare di granito 7 con colonne binate, che occupa la parete centrale del cappellone, dedicato originariamente a S. Ninfa.
Sull'altare, dove originariamente era una pala dedicata a S. Ninfa di Filippo Paladino, andata perduta, è oggi una statua lignea dell’Addolorata, attribuita allo scultore trapanese Giuseppe Milanti, proveniente dalla chiesa di S. Margherita, distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Poste sull’altare le statue di due profeti; a sinistra Simeone, opera di Andrea Sulfarello (vedi biografia) e a destra Geremia, opera di Gaspare la Farina (vedi biografia). Da notare infine, sulla parete sinistra, il balconcino retto da tre putti dorati, con il teatrale “trompe l’oeil” della tenda scostata sulla porta, dipinto sulla parete di fondo presumibilmente dallo stesso G. Riolo autore della vicina falsa cupola; questa struttura si ripetete simmetricamente anche sull’altro lato del transetto e, ancora lungo la navata, con la variante di contenere organi, reali o anch'essi dipinti.
 

Il presbiterio 8 (vedi approfondimento a cura della prof. Duci ) è stato costruito tra il 1624 e il 1649, Quattro finestroni illuminano, dall'alto la grande pala d’altare (olio su muro) di Gioacchino Martorana, (1768) (vedi biografia) che raffigura S. Ninfa con le Vergini Palermitane, (Agata, Oliva, Rosalia) Maria, Giuseppe e la SS. Trinità, incorniciata da un volo d'angeli in stucco. Del Martorana sono anche i quattro quadroni sulle pareti del coro, separati da lesene scanalate, che raffigurano i Dottori della Chiesa, a destra S. Gregorio Magno e S. Gerolamo, a sinistra S. Agostino e S. Ambrogio. Sulla volta, sempre del Martorana il Trionfo della Croce e due medaglioni monocromi con S. Pietro e S. Andrea. Di Vittorio Perez (prima metà del XVIII sec.) è la Traslazione delle reliquie di S.Ninfa in Cattedrale, in stucco dorato, posta sotto il quadro dedicato a S. Ninfa. L’altare maggiore in marmo fu disegnato da Venanzio Marvuglia e montato nel 1774. Gli stalli corali risalgono al 1826.
Nella Sacrestia 9 si trova, come già detto, la gaginesca statua marmorea della Madonna delle Grazie.
Dal passaggio che conduce alla sacrestia si accede, attraverso una porticina ad una scala di servizio che conduce agli alloggi dei padri Crociferi ed agli ambienti dove un tempo era il refettorio. All’interno è un crocifisso ligneo di buona fattura.
Ritornando verso l’ingresso nella parete della navata si incontrano:
Sul braccio sinistro del transetto, il Cappellone in origine dedicato a S. Carlo Borromeo (1) e, dopo la sua beatificazione (1742), a S. Camillo de Lellis 10 (vedi approfondimento a cura del prof. Ciappa), presenta al centro l’altare di legno del 1742, stuccato a finto marmo, sul quale è collocato una grande pala che raffigura S. Camillo che ascende al cielo, forse contemporanea opera di Gaspare Serenario. Dentro una teca sono poste le reliquie del santo fondatore dell’Ordine dei Crociferi e la sua maschera mortuaria.
La Cappella del Crocifisso 11 con uno splendido Crocifisso ligneo in stile barocco. Ai piedi della Croce, sullo sfondo di un paesaggio dipinto a fresco, si stagliano le statue in stucco di S. Giovanni Evangelista, della Maddalena e di Maria realizzate nel 1720 da Giacomo Serpotta. Nella stessa cappella, a pavimento è la lapide (1690) a marmi mischi che chiude la cripta della famiglia di G.B. Marassi che ottenne lo Jus patronale per la stessa cappella.
Alla parete destra due monumenti funebri, a destra quello di Girolamo Marassi Drago barone di Fontana Salsa (1743) di eleganti forme rococò, a sinistra quello di G.B. Marassi († 1696), eseguito nella bottega dello Scuto (vedi biografia) su disegno di Paolo Amato (vedi biografia). Sugli archi di comunicazione troviamo l’affresco tardo-seicentesco con L’adorazione del serpente di bronzo, molto rovinato.
La cappella ospita inoltre una lapide commemorativa di Tommaso Santoro (1752), con ritratto nel medaglione marmoreo.
La Cappella della Madonna della Salute o dei SS. Liberale ed Evanzia 12 presenta i dipinti a fresco dei due Santi negli archi di comunicazione. Ai lati dell’altare le statue in stucco della Giustizia e della Penitenza di scuola serpottesca.
La Cappella di S. Rosalia o di S. Filippo Neri 13 presenta sugli archi di comunicazione gli affreschi di Alessandro D’Anna (Palermo 1746 – Napoli 1810), del 1769 ca., che raffigurano S. Filippo Neri in gloria a destra e S.Maria Maddalena penitente a sinistra.
A sinistra dell’ingresso della Chiesa è collocato il neoclassico monumento funebre a John Acton (1736-1811) (vedi biografia), ministro del Regno di Napoli al tempo di Ferdinando I 14.

nota (1): Nella seconda metà del Cinquecento, il Concilio di Trento (1545-1563) promuove una generale revisione dei principi dottrinali della Chiesa e della disciplina che regola la vita del clero, con l’obiettivo di fornire a tutti i cattolici una risposta certa sulle questioni sollevate dai riformatori. Nelle fasi finali dei lavori si affronta il tema dell’arte sacra: si ribadisce il ruolo didattico delle immagini sacre, finalizzate all’educazione ed al coinvolgimento del fedele, e si promuove la fioritura di una trattatistica sull’arte, mirata a “regolarizzare” la produzione artistica secondo canoni considerati leciti e accettabili (chiarezza, leggibilità, ortodossia). Le Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae (1577) redatte dal Cardinale Borromeo, costituiscono una puntigliosa disamina delle problematiche relative all’architettura religiosa e alle questioni connesse alla liturgia, alla funzionalità degli edifici ed al corretto impiego delle suppellettili e degli arredi ecclesiastici. Il Cardinale Borromeo è stato guida dell’arcidiocesi milanese dal 1565 al 1584.

Tutte le foto sono di I. F. Ciappa .

Si ricorda che è vietata la riproduzione e l'utilizzo di parti del testo e delle foto senza che se ne citi l'origine.

venerdì 17 gennaio 2014

CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI Il presbiterio


CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI 
Il presbiterio
(approfondimento a cura della prof. Gisella Duci)

L’ampio presbiterio della chiesa di Santa Ninfa (per tornare alla pagina con le informazioni generali clicca quì) è dominato dal dipinto raffigurante Santa Ninfa e le Sante Rosalia, Agata ed Oliva al cospetto della Trinità, della Madonna e di san Giuseppe, opera del pittore palermitano Gioacchino Martorana; dello stesso artista sono anche i quadroni a fresco che si trovano sulle pareti del coro e che rappresentano i Dottori della chiesa, con destra San Girolamo e San Gregorio Magno ed a sinistra Sant’Agostino e Sant’Ambrogio, e sempre del Martorana è l’affresco presente sulla volta, che ha per soggetto Il trionfo della croce tra gli apostoli. Sotto l’affresco è posto un grande rilievo in stucco dorato, attribuito a Vittorio Perez, che rappresenta La traslazione della reliquia di Santa Ninfa in cattedrale; l’altare in marmo è invece opera di Giuseppe Venanzio Marvuglia, che fu senz’altro il più importante architetto operante in Sicilia tra la metà del’700 e la prima metà dell’800.

L’affresco dell’altare

Il grande affresco (11,70x5,65 metri), dipinto con la tecnica dell’olio su muro, è racchiuso dentro una cornice dorata e decorata con stucchi e reca in basso a destra la firma e la data “Gioacchino Martorana 1768”. Il suo soggetto è Santa Ninfa e le Sante Rosalia, Agata ed Oliva al cospetto della Trinità, della Madonna e di San Giuseppe. Al centro dell’opera campeggia infatti Ninfa, santa titolare della chiesa, riconoscibile per il vaso con il fuoco, suo attributo iconografico ben visibile a destra ed il cui significato è da ricondurre alla fede ed all’innocenza in quanto allude alla “prova del fuoco”. La Santa è raffigurata nell’atto di rivolgersi al cielo, dove, tra una moltitudine di angeli e cherubini, si possono osservare la Madonna Immacolata al centro, San Giuseppe a destra e la Trinità, con Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in forma di colomba in alto.
Nella parte inferiore del dipinto sono invece rappresentate le altre Sante Vergini patrone di Palermo: Rosalia, Agata e Oliva. Santa Rosalia si trova sulla sinistra del dipinto, rivolta alla Vergine; al suo fianco ci sono degli angeli che reggono un drappo che contiene delle rose, ed ai suoi piedi si trovano dei putti che giocano con la palma ed il giglio, simboli del martirio e della purezza delle Vergini, e con il teschio, ricordo della peste e consueto attributo iconografico, insieme alle rose, della “Santuzza”.
Da rilevare, alle spalle di Santa Rosalia, la veduta di un porto, che probabilmente alludealla città di Palermo. Alla destra del quadro si può invece osservare Sant’Agata, che indica il proprio petto e regge in mano un vassoio con i seni che le furono tagliati, mentre le tenaglie, anch’esse frequente attributo iconografico della Santa, sono ben visibili nell’angolo destro del quadro, sotto il gruppo dei putti. Sant’Agata è raffigurata nell’atto di conversare con Sant’Oliva, riconoscibile per il ramoscello d’ulivo che regge in mano e per il turbante che ha in testa, elemento quest’ultimo che è spesso presente nelle raffigurazioni di questa Santa e che allude al suo soggiorno a Tunisi.
Lo stile dell’opera rivela senza dubbio la conoscenza da parte del Martorana dei più importanti esempi della pittura rococò romana, infatti, come si dirà più avanti, l’artista palermitano ebbe modo di soggiornare a lungo a Roma e conobbe i più grandi pittori dell’epoca come Pompeo Batoni, Sebastiano Conca e Marco Benefial.
L’opera si caratterizza per l’impostazione su due diagonali che servono a conferire profondità allo spazio, e per l’eleganza delle monumentali delle figure, rese con solida plasticità ed ingentilite dai colori brillanti. Lo storiografo Padre Fedele da San Biagio nel 1788 così si esprimeva nei confronti dello stile del Martorana: “...usava più colori vivaci ed ardenti, che son quelli che maggiormente abbagliano la vista di chi non capisce il forte della pittura , e nel suo trattare era sciolto, pronto, spiritoso, ed esprimente nel far concepire il bello della pittura”.

Le Sante Patrone della città : Ninfa, Rosalia Agata ed Oliva
Uno dei motivi di interesse del dipinto posto sull’altare di Santa Ninfa dei Crociferi è senz’altro dovuto al fatto che vi sono raffigurate le Sante Vergini Patrone di Palermo, testimonianza di un’antichissima tradizione che le vede frequentemente rappresentate insieme, sia in quadri devozionali sia nel contesto di importanti “opere pubbliche”, come ad esempio i Quattro Canti di città. E’ interessante notare che Santa Rosalia divenne patrona di Palermo solo nel 1624, e che prima di lei nelle raffigurazioni delle quattro Sante Patrone c’era Santa Cristina, la cui immagine, però fu gradualmente “sacrificata” perché era l’unica a non avere origini siciliane, essendo nata sul lago di Bolsena. Poiché si ritiene superfluo fornire notizie su Santa Rosalia, si danno di seguito cenni sulla vita delle altre Sante Patrone rappresentate nel dipinto di Gioacchino Martorana.

Santa Ninfa

Secondo le notizie contenute in un manoscritto medievale, Santa Ninfa nacque a Palermo al tempo dell’imperatore Costantino, cioè agli inizi del IV secolo d. C., ed era figlia di Aureliano, il prefetto della città . Dopo avere incontrato il vescovo Mamiliano la giovane si convertì al cristianesimo suscitando le ire del padre, il quale per farla recedere dalla sua decisione la fece arrestare: la fanciulla tuttavia non cambiò idea ed in carcere ricevette la visita di un angelo che la liberò e la condusse insieme al vescovo Mamiliano in riva al mare, dove trovò una barca ad attenderla. Fu così che i due partirono, raggiungendo prima l’Isola del Giglio dove trascorsero un periodo di preghiera, e successivamente Roma. Quando Mamiliano morì, Ninfa lo fece seppellire nella località di Bucina, luogo dove qualche tempo dopo ella stessa morì e fu sepolta in una cripta destinata ai martiri. La sua fama di santità si diffuse presto presso gli abitanti del luogo, che in occasione di una tremenda siccità, la invocarono ottenendo il miracolo della pioggia. Da quel momento Ninfa fu venerata come santa e il suo culto si diffuse successivamente in tutto il meridione d’Italia. Il 5 settembre 1593 l’urna argentea contenente la reliquia della sua testa fu traslata dalla chiesa romana di Santa Maria in Monticelli alla cattedrale di Palermo, dove le fu dedicata una cappella nel 1598. Di questo importante evento troviamo testimonianza nel grande bassorilievo in stucco che si trova sotto il dipinto dell’altare, che mostra la scena della processione. Da sottolineare che una statua di Santa Ninfa si trova in uno dei “Quattro Canti”, e precisamente nel cantone di nord ovest, quello a destra guardando Porta Nuova, che presiede simbolicamente al quartiere Capo o Monte di Pietà di cui fa parte il segmento di via Maqueda nel quale si trova appunto la chiesa.

Sant’Oliva

Sant’Oliva è stata in passato una delle più venerate sante patrone di Palermo. La leggenda narra che nacque nel 448 da una nobile famiglia forse palermitana, e che, a causa della sua conversione al cristianesimo, fu inviata in esilio a Tunisi, dove operò miracoli ed iniziò a convertire i pagani; per questo motivo fu relegata nel deserto, dove riuscì ad ammansire leoni, dragoni e serpenti e fu successivamente rinchiusa in carcere dove subì una serie di terribili supplizi dai quali uscì indenne, fino a quando non morì decapitata il 10 giugno 463.
Secondo la tradizione dopo la morte il suo corpo fu rapito da alcuni cristiani, e fu sepolto segretamente a Palermo, in un luogo presso le mura della città che la tradizione ha da sempre identificato con la contrada di Sant’Oliva, e che oggi corrisponde alla centralissima Piazza San Francesco di Paola. In questo luogo già nel 1310 è attestata la presenza di una cappella dedicata alla Santa e nel 1485 vi si stabilì la maestranza dei Sartori che ingrandì la cappella e, intitolò la propria confraternita a Sant’Oliva; in seguito la chiesetta fu ceduta ai Frati di San Francesco di Paola, che costruirono l’attuale chiesa nella quale permangono tuttavia molte testimonianze legate al culto di Sant’Oliva come la cappella a lei dedicata, o una statua argentea conservata in sacrestia E’ inoltre interessante ricordare che a Tunisi esiste una moschea chiamata “Jami al Zaituna”, cioè “moschea dell’oliva”, che sorge nel luogo dove un tempo c’era una chiesa a lei dedicata, e che nella città araba Sant’Oliva è ancora oggi venerata superstiziosamente, si crede infatti che bestemmiando il suo nome si possa incorrere in gravi sventure e si ritiene addirittura che quando sarà ritrovato il suo corpo l’Islam avrà fine.

Sant’Agata

Per molti secoli si è a lungo dibattuto sul luogo di nascita di Sant’Agata, che secondo alcuni sarebbe
stato Palermo e secondo altri invece Catania, opinione quest’ultima più diffusa e che ha finito per prevalere.
Secondo la tradizione Sant’Agata nacque nel III secolo da nobile famiglia e subì il martirio sotto l’imperatore Decio; convertitasi presto al cristianesimo, respinse le profferte del prefetto romano Quinziano che si era invaghito di lei, e fu per questo gettata in carcere e sottoposta a diverse torture, tra le quali la più atroce fu l’estirpazione delle mammelle, terribile mutilazione che fu tuttavia guarita da San Pietro che le apparve in carcere.
In seguito la fanciulla fu sottoposta ad altre atroci torture, come la prova dei carboni ardenti, e quando morì a Catania vi fu un terremoto. All’anniversario del suo martirio vi fu un’eruzione dell’Etna, e gli abitanti di Catania furono salvati grazie al miracoloso velo della Santa, che deviò il flusso della lava. Sant’Agata è generalmente raffigurata in ricche vesti, che simboleggiano le sue nobili origini, e tra i suoi attributi iconografici i più frequenti vi sono un piatto con le mammelle e le tenaglie che furono strumento del suo supplizio. Nella città di Palermo si conserva in Cattedrale la reliquia del suo braccio, ed il culto di Sant’Agata è legato ad un’impronta che la Santa avrebbe lasciato in una roccia conservata oggi nella Chiesa di Sant’Agata la pedata, in via del Vespro. La chiesa di Sant’Agata alla Guilla in via del Celso invece corrisponderebbe al luogo nel quale, secondo la tradizione dei fautori dell’origine palermitana della Santa, si trovavano la casa ed i giardini della sua famiglia.

Gioacchino Martorana

Gioacchino Martorana nacque a Palermo nel 1735 e morì nella stessa città nel 1779. Apprese la tecnica pittorica dal padre Pietro, anch’egli pittore, e nel 1749 si trasferì a Roma, dove studiò con importanti artisti come il Benefial ed il Conca.
Rientrato definitivamente nella sua città natale , nel 1768 dipinse il quadro per l’altare di Santa Ninfa, considerato già dai contemporanei il suo capolavoro, e successivamente divenne uno dei più richiesti ed affermati pittori del panorama artistico palermitano della seconda metà del ‘700, ricevendo importanti commissioni e decorando ad affresco le sale di importanti residenze nobiliari, come i Palazzi Comitini, Butera, Natoli e Costantino.
Il letterato ed antiquario Agostino Gallo ( 1790-1872), nel suo manoscritto risalente alla prima metà del XIX secolo intitolato Notizie di pittori e mosaicisti, definì Gioacchino Martorana “spadaccino, attaccabrighe e libertino”, contribuendo a creare una fantasiosa immagine del pittore come di un uomo trasgressivo ed anticonformista e dando l’avvio ad una tradizione che è arrivata fino alla prima metà del Novecento, quando l’erudito Luigi Sarullo, nel suo Dizionario degli artisti siciliani, afferma che il Martorana addirittura avrebbe commesso un omicidio e per sfuggire alla cattura si sarebbe rifugiato nella Casa dei Padri Crociferi presso la chiesa di Santa Ninfa, dove avrebbe eseguito gli affreschi del presbiterio per ringraziare i Padri della possibilità di salvezza offertagli.
Oggi tuttavia questa vicenda viene ritenuta dagli studiosi priva di fondamento in quanto non è stato ritrovato nessun documento a riprova dei fatti e si ritiene invece più probabile che il Martorana abbia ricevuto la commissione dai Padri Crociferi per mezzo di Giuseppe Venanzio Marvuglia, il grande architetto che ebbe modo di conoscere durante il suo soggiorno romano; il fatto che lo stesso Martorana eseguì il ritratto del Marvuglia (foto a sinistra) che oggi fa parte del Famedio della Biblioteca Comunale sembrerebbe comprovare l’ipotesi di un rapporto di conoscenza e collaborazione tra i due.




I santi dottori della Chiesa

Dopo avere dipinto il grande affresco sull’altare il Martorana si dedicò a dipingere la serie dei Quattro dottori della Chiesa sulle pareti dell’abside. Ciascun affresco misura cm. 295x180 ed è racchiuso dentro una cornice in gesso. Le imponenti figure si caratterizzano per gli effetti volumetrici e prospettici, e sono testimonianza della completa maturità raggiunta dall’artista.

San Girolamo

San Girolamo (342-420) è in genere raffigurato anziano, con barba e capelli bianchi, e tra i suoi attributi iconografici più frequenti c’è il leone, infatti, secondo una leggenda, Girolamo trasse una spina dalla zampa di un feroce leone e da quel momento l’animale gli fu amico. Nella raffigurazione che ne ha fatto il Martorana, notevole sia per l’aspetto fisionomico che per l’attento studio dell’anatomia, è interessante notare il piccolo frammento di carta che esce dal libro delle sacre Scritture che il Santo tiene in mano, dove si legge “ G. M. F. di a. 33”, cioè “Gioacchino Martorana fece di anni 33”.
Questo documento ha permesso agli studiosi di risalire all’anno di nascita dell’artista, che è il 1735 e non il 1728, come un tempo erroneamente si riteneva.



San Gregorio Magno

Gregorio Magno (540 ca- 604), come pontefice dimostrò doti eccellenti nel governare ed istituì tra l’altro le forme ufficiali della liturgia romana e del canto liturgico, cioè il canto gregoriano. E’ per lo più raffigurato vestito da pontefice, con la tiara, ed un suo caratteristico attributo è la colomba dello spirito santo librata in aria presso il suo capo, ad indicare l’ispirazione divina dei suoi scritti.

Sant'Agostino

Agostino di Ippona (354-430) oltre ad essere uno dei Dottori della Chiesa, è stato forse il celebre ed autorevole teologo che la Chiesa abbia avuto. E’ in genere raffigurato in abiti vescovili, con mitra e pastorale ed è anziano; a volte, come in questo caso è rappresentato seduto ad uno scrittoio con la penna in mano.
E’ interessante osservare il foglio che nella raffigurazione del Martorana esce dal libro sul quale il Santo sta scrivendo, infatti in esso si leggono le seguenti parole: “Gioac. Martorana ringrazia gli Giuliani delli Onori o Caricature che sogliono fare per il complimento a forestieri o paesano uomeni conosciuti”. La frase, dal significato non del tutto chiaro, può essere letta come un ironico ringraziamento ai committenti che finanziavano gli artisti, a conferma del carattere bizzarro che la tradizione ha da sempre attribuito all’artista. Padre Fedele da San Biagio, storiografo che scrisse nel 1788, ci dice ad esempio che il Martorana era “un giovane di bella figura, pieno di talento e di spirito, amante dei passatempi, la buona tavola e gli agi della vita”.


Sant’Ambrogio

Sant’Ambrogio (340?-397) fu vescovo di Milano e divenne famoso come teologo ed autorità ecclesiastica.
Visse in un’epoca di aspre contese ed ebbe parte importante nella lotta contro la dottrina dell’Arianesimo, ritenuta eretica. Viene in genere raffigurato anziano e veste abiti episcopali.



Gli affreschi della volta 



Il tema iconografico degli affreschi dell’abside (Martirio e Dottori) si completa con la decorazione della volta del cappellone, in cui il Martorana ha dipinto Il trionfo della croce.
Per rappresentare questo tema il pittore ha scelto di raffigurare l’apostolo Giovanni che con la spada difende la Croce, mentre altri apostoli assistono alla scena ed alcuni angeli sono impegnati a scacciare le eresie, impersonate da uomini vestiti in maniera esotica.
Risalta nella scena il grande interesse dell’artista per le vivaci cromie e per gli scorci prospettici, come si può osservare nella parte inferiore dell’affresco, dove un infedele scacciato da un angelo sembra quasi cadere giù protendendosi al di fuori della cornice, con arditi effetti di illusionismo spaziale. Ai lati di quest’affresco si trovano due medaglioni dipinti a monocromo nei quali sono raffigurati l’apostolo Andrea a sinistra, e l’apostolo Pietro, con il libro e le chiavi in mano, a destra.




La finta cupola 


S.Marco e il leone
S.Giovanni e l'aquila
Nel progetto originario della chiesa era prevista una grande cupola proporzionata alla vastità dell’ambiente, ma per mancanza di mezzi economici essa non fu mai realizzata ed al suo posto si fece una copertura piana a soffitto. Nel XIX secolo questo soffitto fu decorato con un interessante effetto illusionistico di trompe l’oeil dal pittore Gaetano Riolo, che sembra essersi ispirato all’illustre esempio della chiesa romana di sant’Ignazio di Loyola, dove il celebre Andrea Pozzo aveva dipinto una tela prospettica che riusciva a riprodurre l’immagine di una cupola in realtà non esistente.
S.Matteo e l'angelo
S.Luca  e la Madonna
Gaetano Riolo, fratello del più noto Vincenzo, fu un pittore palermitano ricordato dagli storiografi come “prospettico e scenografo valoroso”. Di lui si sa che morì nel 1856 già piuttosto anziano, che fu scenografo del Teatro Carolino di Palermo e che fu tra i pittori delle prospettive per la macchina pirotecnica per la festa patronale di Santa Rosalia. Nei pennacchi della finta cupola si trovano dipinte le figure dei Quattro Evangelisti, che sono state attribuite a Gaetano Li Volsi, pittore nato a Palermo nel 1797 e morto nel 1837 il quale, insieme al Riolo, fece parte del gruppo di artisti che lavoravano
come scenografi presso il Teatro Carolino.

Il sarcofago dietro l’altare
 

Dietro l’altare è posto un sarcofago dove è stato seppellito Francesco Lucchese, marchese di Lucca, , ci limiteremo pertanto in questa sede a produrre la documentazione fotografica del reperto.
morto nel 1624 all’età di 34 anni e marito della nobildonna Francesca Perollo, che donò alla Chiesa di Santa Ninfa 25 mila scudi per la costruzione della cappella maggiore. Per le notizie sulla nobile famiglia dei Lucchese da cui prende il nome la cittadina di Lucca Sicula in provincia di Agrigento, si rimanda allo studio condotto dalla Prof.ssa Lucia Palumbo (notizie sulla chiesa di S.Ninfa).

Il sarcofago è stato realizzato in “pietra di paragone”, che è l’antico nome di una varieta' di diaspro nero, scientificamente conosciuta come "litide", e comunemente detta "pietra di paragone" perché usata fin dai tempi più antichi per saggiare i metalli preziosi, come l'oro. Su una pietra di paragone può essere infatti verificata la purezza di qualsiasi metallo tenero confrontando il colore delle tracce che si formano strofinandovelo sopra. Il diaspro e' una roccia silicea, usata anche come gemma di piccolo pregio.

BIBLIOGRAFIA

De Seta C. , Spadaro M. A. , Troisi S. Palermo città d’arte , Palermo 2002

Di Natale M. C. Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo , 2006

Giuliana Alajmo A. La Chiesa di Santa Ninfa detta dei Crociferi, Palermo 1964

Hall J. Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte , Varese, 2003

Malignaggi D. , La pittura del Settecento a Palermo, Palermo, 1977

Mazzé A. Memoria di Gioacchino Martorana , Palermo, 1979



Tutte le foto sono di I. F. Ciappa.

Si ricorda che è vietata la riproduzione e l'utilizzo di parti del testo e delle foto senza che se ne citi l'origine.

venerdì 3 gennaio 2014

CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI Cappellone di S. Camillo e navata sinistra




CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI  
Cappellone di S. Camillo e navata sinistra
(approfondimento a cura del prof. Ignazio Francesco Ciappa)

Approfondiamo la conoscenza della Chiesa di Santa Ninfa (per tornare alla pagina con le informazioni generali clicca quì) fermandoci al centro del transetto. Osserviamo in particolare il lato sinistro dove è il grande cappellone dedicato a S. Camillo de Lellis. 10
Questo, originariamente dedicato al lombardo S.Carlo Borromeo, a seguito della canonizzazione del Santo dei Camilliani e della sua proclamazione a co-patrono della città di Palermo, nel 1742, fu ornato di un altare di legno stuccato a finto marmo, (foto a sin.) costituito da due registri.
Nel disegno della parte sommitale è simile alla struttura delle cantorie e dell’organo della chiesa romana di S. Maria Maddalena, sede dei Crociferi a Roma, (foto in alto a destra) che furono realizzati appena due anni prima, nel 1740, in legno dorato e statue allegoriche in stucco.
Il primo registro dell’altare è caratterizzato da quattro colonne composite ai fianchi della pala d’altare che sfonda in alto la trabeazione. Sull’estradosso della trabeazione sono due figure allegoriche: quella di sinistra, rappresenta la Carità che accudisce un bimbo mentre con la mano sinistra tiene un cuore simbolo della Fede, alla sua destra un putto alato regge una corona di fiori simbolo della Speranza. La figura di destra tiene in mano un ramoscello di quercia, simbolo di saggezza e forza, e ha al suo fianco un’aquila che indica la regalità, la tendenza a librarsi verso l’alto, quindi la volontà diavvicinarsi a Dio. A destra un putto alato regge in mano un ramoscello fiorito, simbolo dell’anima immortale e delle virtù del Santo. Nel secondo registro due putti alati spingono in alto uno stemma con al centro la croce, emblema dei Crociferi. Il secondo ordine è terminato in alto da una cornice mistilinea affiancata da quattro vasoni.
Al centro, sull’altare è una pala, forse opera coeva di Gaspare Serenario che raffigura S. Camillo che ascende al cielo. Il Santo, che indossa un’ampia tunica con sul petto la croce latina rossa, simbolo dei Crociferi, apre le braccia e volge gli occhi al cielo affidandosi a Dio.
Appare circondato da nuvole e quasi sospinto da putti festanti, due dei quali sulla sinistra reggono l’uno una fiaccola simbolo dell’amore spirituale, l’altro un volume le cui pagine aperte alludono alla Regola dei Ministri degli infermi. Nella parte bassa dell’altare dentro una teca sono poste, alcune reliquie del santo fondatore dell’Ordine dei Crociferi e un busto in cera ricavato subito dopo la sua morte.

La Cappella del Crocifisso 11 può essere considerata forse la più importante, a giudicare dallo stemma araldico dei Marassi Drago (vedi notizie sul casato) che, unico, campeggia sull’arcone di passaggio dalla navata alla cappella stessa.
Sopra l’altare in marmi policromi dal semplice disegno, si erge uno splendido Crocifisso ligneo in stile barocco. L’affresco di un paesaggio agreste al tramonto fa da sfondo oltre che alla Croce, alle statue in stucco di S. Giovanni Evangelista, della Maddalena e di Maria, di Giacomo Serpotta . Queste risalgono al terzo decennio del XVIII sec. come si ricava dallo stile ormai maturo del maestro che, contemporaneamente, stava realizzando le grandi statue nella vicina chiesa di Sant’Agostino.
L’opera del Serpotta che riprende il tema già affrontato, in marmo, nella Cattedrale di Palermo, dal padre Gaspare nel 1664, colpisce per la raffinatezza esecutiva, la semplicità dei gesti e delle pose che esprimono un dolore misurato, come quello della Maddalena che fisicamente abbraccia la Croce.
Sul gruppo scultoreo, racchiuso in una cornice affiancata da due putti che reggono i simboli della passione è un dipinto, quasi illeggibile, che rappresenta Dio Padre.
Al centro della cappella, a pavimento, è la lapide (1690) (foto a sin.) a marmi mischi che chiude la cripta della famiglia di G. B. Marassi che ottenne lo Jus patronale per la stessa cappella.
Alla parete destra due interessanti monumenti funebri in marmi policromi. A sinistra dell’arco di comunicazione quello di G.B. Marassi, il capostipite, morto l’11.11.1696. L’ideazione spetta a Paolo
Amato, (vedi biografia) la realizzazione alla bottega degli Scuto. Già nel 1691, Gerardo Scuto insieme al Serpotta aveva scolpito all’interno della chiesa di S. Domenico il monumento sepolcrale di Don Giovanni Ramondetta (foto a destra), ideato probabilmente dall’Amato.
Bisogna comunque sottolineare che esistono differenze tra i due monumenti in quanto quello di Santa Ninfa appare, pur se meno imponente nelle dimensioni, più ricco dal punto di vista decorativo e simbolico. Le maggiori somiglianze si riscontrano nei ritratti dei due defunti (opera del Serpotta?).
L’attribuzione del disegno a Paolo Amato è avvalorata nel monumento di G. B. Marassi, dalla presenza di una ricca simbologia e dalla raffinatezza nell’uso dei marmi mischi.
Riguardo alla simbologia basta ricordare l’uso delle colonne tortili “alla Salomona”, adoperate dallo stesso Amato in portali e apparati, primo tra tutti quello per l’altare maggiore della cattedrale di Palermo (1686), oltre che come simbolo di sapienza salomonica, come espressione di fortezza e magnanimità.
Ancora più evidente, la presenza al centro del monumento funebre di una ruota a otto raggi (le otto direzioni dello spazio), simbolo solare e riferimento al carro di Apollo, ma anche alla ciclicità della vita, “al mondo del divenire, della creazione continua, dunque della contingenza e del perituro”.
Tale simbologia è ulteriormente rafforzata dalla presenza, alla base delle due colonne tortili, del sole e della luna (ciclo luce-tenebre, vita-morte, rinascita), e di due tondi con il leone e l’aquila oltre che di tutta una serie di figure ghignanti e “ibridi amatiani” (tipici di P. Amato) simboleggianti il mistero del trapasso e la doppia valenza (tipicamente barocca) di funerale e pompa trionfale, tristezza e festa. In prossimità dei due capitelli, due aquile (per la simbologia vale quanto detto in precedenza) tengono con il becco, quella di destra spighe, quella di sinistra un mazzetto di fiori. Le spighe sono l’attributo dell’estate, di Cerere, che era rappresentata con un mazzo di spighe in mano e di Osiride, il dio sole morto e resuscitato. La spiga contiene il grano che muore, sia per nutrire, sia per germinare. Il ramoscello fiorito è simbolo dell’anima immortale e delle virtù del defunto.
Infine in cima al monumento al centro del timpano curvilineo, oltre il busto del defunto affiancato da erme dal volto coperto in segno di lutto, una conchiglia riprende l’idea della morte, ma nello stesso tempo quella della nascita (Venere nasce da una conchiglia, la conchiglia vive nel suo elemento naturale, l’acqua) e quindi di resurrezione.
Riguardo alla ricercatezza nell’uso dei marmi mischi (si guardi il drappo posto a fondale della parte centrale del monumento) si può fare riferimento all’altare del Crocifisso all’interno della chiesa del SS. Salvatore (1682 ca.) (foto a destra) o a quello di S. Lucia nella chiesa di S. Maria di Valverde (1695ca.) (foto a sin.).
Purtroppo alla buona conservazione del sepolcro si contrappone l’illeggibilità della lapide commemorativa posta in basso tra i due putti.
A destra dell’arco di comunicazione, troviamo il monumento a Geronimo Marassi Drago barone di Fontana Salsa, dall’elegante disegno rococò, scolpito nel 1743.
L’epigrafe in basso, tradotta, recita:
A GIROLAMO MARASSI DRAGO PARISI E COLNAGO DUCA DI PIETRATAGLIATA BARONE DI FONTANA SALSA E CAMETRICE, AL PADRE DI FAMIGLIA PIO PREVIDENTE SOLERTE ESIMIO VENERATORE DELLA VERGINE CASTA DEFUNTO NEL GIORNO STESSO DELLA VERGINE PURIFICATA NELL’ANNO 1742 GIOVAN BATTISTA MARASSI E NASELLI IL PIÙ ANZIANO DEI FIGLI ERESSE ALL’AFFETTUOSISSIMO PADRE. NEL QUINTO GIORNO DALLE CALENDE DI FEBBRAIO DELL’ANNO 1743.
In alto oltre allo stemma araldico dei Marassi Drago Parisi Colnago (foto a destra), all’interno di un ovale, il ritratto del defunto dalla spiccata caratterizzazione fisiognomica.
Tra gli elementi simbolici, oltre le conchiglie e i fiori di cui si è già detto, interessanti i due turiboli che spandono il fumo dell’incenso, riferimento alle preghiere che s’innalzano a Dio ma anche del distacco dell’anima dal corpo. Sull’arco di comunicazione L’adorazione del serpente di bronzo, affresco tardo seicentesco ormai quasi illeggibile e uno stemma dei Marassi Drago Parisi.

Alla parete sinistra della cappella del Crocifisso, un medaglione marmoreo con il ritratto di Tommaso Santoro (1752) (foto in basso a sin.), è sovrapposto ad una epigrafe che tradotta recita:
Tommaso Santoro Coriario di animo eccezionale, esempio di straordinaria carità, figlio affettuosissimo, amò questa chiesa come una madre, arricchì con sacrifici di continue messe (per sei anni?). Padre assai benefico lasciò una dote ogni anno alle fanciulle in età da marito. Uomo veramente egregio e affinchè non si eclissasse il ricordo di un così grande uomo come testimonianza di un animo ossequioso questo marmo si preoccuparono che fosse eretto i suoi eredi fiduciari.
Il Reverendissimo S.T. D.D. Andrea Giangatto parroco e il Reverendo Sacerdote Don Vincenzo Santoro suo nipote da parte del fratello posero.
Il Reverendissimo S.T. D.D. Carlo Mineo parroco successore e Antonino Santoro, un altro nipote eredi fiduciari successivi nell’anno del Signore 1752
Alla destra dell’arco di comunicazione con la cappella della Madonna della Salute è una piccola edicola in legno stuccata a finto marmo.

Si passa quindi alla Cappella della Madonna della Salute già dei SS. Liberale ed Evanzia 12.
I dipinti a fresco dei due Santi (foto a sin. S. Liberale, a destra S.Evanzia) sono negli archi di comunicazione. Ai lati dell'altare due rigide statue allegoriche della Giustizia (foto in basso a sin.) e della Penitenza, di probabile scuola serpottiana, si ispirano alle, qualitativamente ben diverse, Allegorie dell’oratorio del Rosario in San Domenico. Al posto dell’originaria pala d’altare troviamo oggi una riproduzione (sec. XX) di una tavola lignea rappresentante la Madonna della Salute conservata nella Chiesa di S. Maria Maddalena, sede della Casa dei Crociferi di Roma.

La successiva Cappella di S. Rosalia o di S. Filippo Neri 13 presenta sugli archi di comunicazione gli affreschi (1769 ca.) di Alessandro D'Anna che raffigurano S. Filippo Neri in gloria a destra e S. Maria Maddalena penitente a sinistra.
Segue la piccola cappella neoclassica originariamente passante per chi accedeva alla chiesa dal portale di sinistra, e oggi dedicata all’adorazione del SS. Sacramento. Almeno fino agli anni sessanta del XX sec. ospitava una fonte battesimale in marmo del 1601.

In fondo alla navata nella controfacciata, a destra è collocato il neoclassico (1811) monumento funebre 14 (foto in basso a sin.) dell’inglese John Acton (vedi biografia).
È composto da un’edicola marmorea posta su due mensole, costituita da due lesene ornate da motivi a candelabra terminate da capitelli compositi che reggono una trabeazione sormontata da un “morbido” timpano formato da girali di foglie d’acanto e concluso da una palmetta.
Le due lesene serrano il sarcofago, timpanato, sul quale sono raffigurate due sfingi alate dal volto femminile. Al centro è rappresentato un mazzetto di spighe con un papavero.
Si è già accennato alla simbologia delle spighe; il papavero, invece, era l’attributo di Demetra e rappresenta la terra ma soprattutto la forza del sonno e dell’oblio che si impadronisce degli uomini dopo la morte e prima della nascita.
La presenza di nastri, sia alla base del mazzolino che sul timpano-coperchio del sarcofago, che formano nodi indicano la partecipazione all’immortalità, alla perfezione, all’azione generosa, eroica. La corona allude ai trionfi militari e alle virtù del defunto. Sopra il sarcofago all’interno di un ovale il ritratto del defunto tra armi, scudi e stendardi è posto su un piedistallo che nasconde la sagoma di due navi romane, riferimento alle imprese navali del defunto. Serrata tra le mensole che reggono l’edicola è l’iscrizione che tradotta recita:
QUI GIACE J. ACTON SIGNORE (epiteto di persona potente) DI INGHILTERRA VERAMENTE PADRE DEGLI INDIGENTI, MORÌ IL GIORNO PRIMA DELLE IDI DI AGOSTO DELL’ANNO DEL SIGNORE 1811 A 75 ANNI DI ETÀ.



S.Camillo De Lellis
Usciti fuori la chiesa, in adiacenza al prospetto, su via Maqueda sorge La casa conventuale dei PP. Crociferi. Costruita poco dopo l’apertura della via Maqueda (1600) con il prospetto degli inizi del XVIII sec. opera di Giacomo Amato, presenta un Chiostro, a tre corsie con arcate a tutto sesto, incompleto a causa delle difficoltà di esproprio testimoniate dall’attuale presenza di costruzioni private. Sotto la corsia adiacente la chiesa sono due lapidi e un rilievo con la Vergine e il Bambino che appartenevano alla Piramide della Madonna della Volta eretta nel 1686 in via Maqueda nei pressi della chiesa omonima ed oggi non più esistente. Adiacente la corsia orientale del chiostro è l’oratorio della Carità di S. Pietro, già sede di una congregazione (fondata nel 1736) di sacerdoti secolari. Le volte dell’oratorio, come quelle dell’antioratorio, dipinte nel 1738 da Guglielmo Borremans rapresentano L’evasione di S. Pietro dal carcere (antioratorio) e la Gloria di S. Pietro (oratorio), mentre nelle vele sono raffigurati i Santi Francesco d’Assisi, Vincenzo de’ Paoli, Acaio e Paolino. Accedendo al chiostro da via Maqueda, a sinistra è possibile notare l’effetto di sfondato che sembra aumentarne la profondità, soluzione tipicamente borrominiana. Dal fondo si accede ad uno scalone in marmo rosso, progettato da G. Amato nel 1701 e concluso da una delle più belle statue in stucco (1707) di Giacomo Serpotta che raffigura S. Camillo de Lellis.


Tutte le foto sono di I. F. Ciappa .

Per la traduzione delle epigrafi si ringrazia M. S. Ciappa.

Si ricorda che è vietata la riproduzione e l'utilizzo di parti del testo e delle foto senza che se ne citi l'origine.

Gli artisti (biografie)
Giacomo Amato
G.Amato (tratto da Wikipedia)
Architetto, appartenente all'Ordine dei ministri degli infermi come fratello laico, nacque nel 1643 a Palermo, dove iniziò gli studi con l'omonimo architetto Paolo Amato di Ciminna. Intorno al 1671 si trasferì a Roma, lavorando con l'architetto Carlo Bizzaccheri alla nuova Chiesa di S. Maria Maddalena dei Crociferi. Tornò in patria nel 1685, determinando una svolta nell'architettura locale con l'introduzione della corrente c1assicista del Seicento romano. A lui si devono le Chiese di Santa Teresa alla Kalsa, di S. Maria della Pietà (prospetto) e di S. Rosalia (distrutta per la realizzazione della via Roma). Gli si attribuiscono anche la Chiesa di S. Mattia dei Crociferi, i disegni del Coro e una scala a chiocciola nella Chiesa di S. Agostino. Nel 1699 firmò il disegno per la decorazione a stucco dell'altare dell'Oratorio di San Lorenzo eseguita da Giacomo Serpotta e, un anno più tardi, diresse i lavori della decorazione a stucco per le cappelle del Crocifisso e di San Francesco, realizzate da Giuseppe Serpotta nella Chiesa delle Stimmate (abbattuta per la costruzione del Teatro Massimo). Giacomo Amato morì nel 1723. Il suo corpo è sepolto nella Chiesa di S. Ninfa dei Crociferi.

Paolo Amato
Nacque a Ciminna il 24 gennaio 1634. Si recò da giovane a Palermo, come il fratello maggiore Vincenzo, per studiare nel seminario arcivescovile e farsi prete. Ma possedendo una propensione per gli studi di matematica e d'architettura, decise di non abbandonarli affermandosi in quel campo tanto da acquisirne il primato nella città di Palermo. Studiò gli antichi e gli autori classici d'architettura, oltre che la matematica, la fisica e l'ottica. Dopo il 1701, ritenendo che fino ad allora pochi si fossero dedicati alla teoria della prospettiva scrisse un trattato, basato sulla matematica, dal titolo: “La Nuova Pratica di Prospettiva, nella quale si spiegano alcune nuove opinioni e la Regola Universale di disegnare in qualunque superficie qualsivoglia oggetto. Opera utile e necessaria ai Pittori, Architetti, Scultori e Professeri del disegno”.
In questa opera venivano esposte tecniche grafiche innovative e apprezzate dagli specialisti, partendo dal’enunciazione di alcuni principi teorici di geometria necessari alla pratica della prospettiva, per poi passare ad esporre la maniera di disegnare piante e profili di solidi, di superficie inclinate, concave, convesse, sempre più complesse. L’editore Vincenzo Toscano cominciò a stampare l’opera a Palermo nel 1714, grazie anche all’appoggio di amici autorevoli dell’Amato quali Pietro Papaleo scultore ed architetto palermitano, dimorante a Roma, il Canonico Antonino Mongitore, storico siciliano, D. Michele del Giudice, abbate Cassinese, D. Francesco Marchese, canonico della cattedrale di Palermo, ed altri. Fu finita di stampare nel 1733 presso l'editore Onofrio Gramignani quando già l’autore era morto da 19 anni. Ebbe come allievi della sua scuola di disegno e architettura D. Gaetano Lazzara e D. Carlo Infantolino. Tra le opere di architettura si ricordano nella cattedrale di Palermo: l’apparato scultoreo in marmi mischi nella cappella della Madonna Libera Inferni per Mons. D. Giacomo Palafox nel 1684; il sepolcro dell'Arcivescovo di Palermo D. Giovanni Lozano, in marmi mischi del 1672; il mausoleo di D. Ferdinando Bazan, Arcivescovo di Palermo, realizzato nel 1702 in marmi policromi, e ornamentazioni in marmo per la cappella del SS. Crocifisso. Per il senato palermitano disegnò il teatro della musica fuori Porta Felice nel 1681, la Fontana del Garraffo (1689); la lapide per l’incoronazione di Vittorio Amedeo, avvenuta a Palermo il 24 dicembre 1713, riccamente ornata e collocata nella facciata settentrionale del Palazzo Pretorio. Nella chiesa di S.Maria di Valverde le cappelle di S. Lucia e della Madonna del Carmine in marmi mischi, (1695-1700). Progettò la chiesa del SS. Salvatore nel 1682; la Chiesa dell'Ospedale dei Sacerdoti al Papireto nel 1697; il cappellone della Compagnia del sangue e volto di Cristo; la facciata della chiesa del Monastero di S.Giuliano nel 1679 in pietra da taglio, oggi distrutta a seguito della costruzione del Teatro Massimo e la facciata del parlatorio dei Sett'Angeli (anch’essa distrutta). Fuori Palermo modellò la sontuosa cappella del SS. Crocifisso nella cattedrale di Monreale, per incarico di Mons. D. Giovanni Roano Arcivescovo di quella città, e la chiesa del SS. Crocifisso in Ciminna. Progettò inoltre apparati e altari sontuosi in occasione di feste solenni, quali ad esempio l’ingresso dei viceré a Palermo, ma anche magnifici mausolei per regi funerali, come furono quelli del re Filippo IV nel 1666, del re Carlo II, di Ludovico Borbone, Delfino di Francia nel 1711, tutti celebrati nella cattedrale di Palermo, e di D. Teresa La Cerda, Marchesa di Solerà, nella real cappella di S. Pietro.
Per 42 anni fu impegnato a disegnare i diversi carri trionfali e le macchine dei fuochi artificiali per il ”festino” di S. Rosalia. Il 22 agosto 1686 fu nominato ingegnere ed architetto dal Senato Palermitano e ottenne la cittadinanza palermitana. Nel 1701 iniziò la costruzione del convento attiguo alla Chiesa di San Francesco d'Assisi. Nel 1707 costruì la ”machina” che fu posta presso la Chiesa di San Ciro. Morì all’età di 80 anni, il 3 luglio 1714. Ebbe solenni esequie e fu sepolto per sua disposizione nella chiesa dei Crociferi dentro la stessa tomba, ove riposavano i resti del fratello Vincenzo e della madre, e sulla quale fu scolpito in marmo il seguente epitaffio: “Musices, et Architectonicae peritissimos, fratres D. Vincentium, et D. Paulum Amato hic iacentes, et ipsa iacens deflet Mathesis, plorantem sublevat Lauria Amato eorum Mater: Quae etenim in felici urbe ad Cantorum, et Geometriae praefecturam ipsos genuit, pietati, et Sacerdotio cum eosdem educasse!, beatae Patriae armonicam, et opticam ideam ediscere a filiis benem. magistram adhortatur, Obiit D. Vincentius Amato 29. lui. ann. 1670, aetatis 42.
Lauria Mater 27 lan. an. 1672. aetatis 72.
D. Paulus vero 3. lui. 1714 aetatis 80”.

Gaspare Firriolo
Stuccatore formatosi alla scuola dei Serpotta e attivo a Palermo nella seconda metà del XVIII secolo.
Appartenente a una famiglia di artisti artigiani, era fratello minore di Giuseppe, anch'egli valente stuccatore. Inizialmente collaborò con il suocero Procopio Serpotta. Con questi, in particolare, lavorò agli stucchi della Chiesa dei Tre Re e, con ogni probabilità, nell'Oratorio di S. Caterina d'Alessandria. Realizzò il Martirio di Santa Ninfa posto sul portale principale dell'omonima Chiesa dei Crociferi. Gli vengono attribuite la Gloria sull'Altare maggiore della Chiesa di S. Ignazio Martire e la Gloria della Chiesa di S. Matteo. Sono suoi gli stucchi a motivi fitomorfi del Gymnasium dell'Orto Botanico di Palermo e le statue raffiguranti le quattro stagioni sul coronamento dell'edificio di Leon Dufourny.

Gaspare La Farina
Scultore, con il Sulfarello realizzò i decori a stucco per le Cappelle del transetto di S. Ninfa e di S. Carlo Borromeo nella chiesa di S.Ninfa dei Crociferi. Il La Farina scomparve prima di terminare l'opera, ma anche per Sulfarello si tratta dell'ultimo lavoro documentato.

Gioacchino Martorana
Nato nel 1735 venne introdotto nella cerchia romana del Conca dall'incisore Giuseppe Vasi, allievo del padre Pietro, anch'egli pittore e originario di Nicosia. In seguito sempre il Vasi lo indirizzò alla scuola del Benefial. Il soggiorno romano del Martorana, che in quel periodo sposò Caterina Vasi, figlia dell'artista corleonese, durò con brevi parentesi fino ai primi anni Sessanta. Quindi si stabilì definitivamente a Palermo. Il corpus delle sue opere è molto vasto. Fu un artista di grande successo. Oltre a numerose commissioni di tele e pale d'altare, realizzò cicli d'affreschi per chiese ed aristocratici palazzi. Fra questi ricordiamo L’Allegoria del vero Amore del gran salone di palazzo Comitini, sede della Provincia regionale di Palermo, che dal Martorana prende il nome. Eseguì inoltre il ciclo decorativo della Chiesa di S. Ninfa dei Crociferi e la pala d'altare raffigurante Le Vergini palermitane al cospetto della Trinità, considerata fra i suoi capolavori. Ancora decorò i saloni dei palazzi del marchese Natoli di Ramondetta, del marchese di Santa Margherita, del marchese Costantino, del marchese di S. Croce e Bordonaro. Morì a quarantaquattro anni nel 1779 per una polmonite. I figli Pietro ed Ermenegildo lo affiancarono nel suo lavoro.
Ermenegildo, morto a Palermo nel 1820, collaborò col padre alla decorazione del Palazzo Municipale di Piazza Armerina e alla realizzazione delle pale d'altare per la Chiesa dell'Albergo dei poveri. Gli viene attribuita la Trinità con i SS. Marta e Lorenzo di S. Carlo dei Lombardi. È di sua mano la decorazione del palazzo Beneventano e gli affreschi con le Virtù nella Chiesa di S. Spirito a Siracusa. Gli vengono assegnati anche degli affreschi nella Chiesa Madre di Avola. Pietro sposò la figlia di Vito D'Anna. Fu un abile acquerellista e un noto vedutista. Soggiornò a lungo a Napoli. Morì nel 1797.

Giuseppe Venanzio Marvuglia
Illustre architetto nato nel 1729, autore di numerosi e significativi interventi condotti secondo una personale interpretazione del neoclassicismo architettonico. Figlio del capomastro Simone attivo a Palermo nella prima parte del XVIII secolo, Giuseppe Venanzio soggiornò a Roma per oltre dieci anni, dedicandosi allo studio dell'antichità classica e dell'architettura cinquecentesca. Fra le tante opere da lui realizzate ricordiamo l'Oratorio di San Filippo Neri, adiacente alla Chiesa dell'Olivella, la volta della Chiesa di S. Ignazio all'Olivella, lo scalone del Monastero di S. Martino delle Scale, realizzato nell'ambito dei lavori di ampliamento del complesso, la ristrutturazione di palazzo Geraci, i progetti e gli interventi sui palazzi Belmonte-Riso, Galati, Notarbartolo di Villarosa a piazza Regalmici, Coglitore, Costantini, Federico, la villa Belmonte all'Acquasanta e quella Villarosa a Bagheria. Nella sua qualità di architetto dei Real siti di campagna, ideò la Reggia di Ficuzza e la Casina cinese alla Favorita.
A lui si devono la definizione formale di piazza Regalmici e il prolungamento della via Maqueda. Diresse, assieme a Salvatore Attinelli, i lavori di restauro della Cattedrale sulla base dell'originario progetto del Fuga e subentrò a Orazio Furetto nei lavori per l'Albergo dei poveri. Fu docente di architettura civile dell'Accademia degli studi. Nel 1789 venne eletto architetto del Senato. Su proposta di Léon Dufourny fu nominato socio straniero della classe di Belle arti dell'Istituto di Francia. Oltre a svolgere l'attività di progettista, fu anche consulente delle più importanti famiglie palermitane, fra cui la casa Valdina. In particolare, assistette all'inizio dell'Ottocento il principe di Valdina nella lunga controversia che l'oppose alle monache dell'Origlione, il cui monastero era vicino al palazzo della famiglia in via del Protonotaro. Morì a Palermo nel 1814. Il Marvuglia lavorò ad alcuni progetti (palazzetto Coglitore e la Chiesa di S. Francesco di Sales), col fratello Salvatore, sacerdote, matematico e, a sua volta, architetto morto nel 1802. Gli viene assegnata la trasformazione della Chiesa della Madonna del Lume, dove è sepolto. Alessandro Emanuele (1773-1845), invece, è figlio di Venanzio ed opera quale direttore dei lavori in molte delle architetture progettate dal padre. La villa Monroy di Pandolfina (Ranchibile) è l'unica opera interamente a lui attribuita. Successe al padre nella cattedra di architettura civile.

Pennino
Famiglia di scultori con bottega a Palermo. Giacomo, morto a oltre 100 anni, fu allievo di Serpotta. Attivo nel XVIII secolo, operò in varie Chiese palermitane. Il figlio Filippo, nacque nel 1733 e, secondo alcuni studiosi, mori nel 1794. La sua attività è documentata anche fuori Palermo. Fra l'altro eseguì un tritone per la fontana della Villa del Principe di Trabia. Gaetano, figlio di Filippo, morì a Roma. Eseguì col padre il fonte battesimale con Adamo ed Eva della Cattedrale di Palermo.
La data di quest'opera 1801 e, quindi, slitterebbe di qualche anno in avanti la morte di Filippo. L'altro figlio di questi Leonardo nacque nel 1765 e morì a Roma nel 1850. Inizialmente lavorò in bottega col padre e col fratello, risentendo dell'influenza esercitata dal Marabitti. Dopo il trasferimento nella città capitolina, tuttavia, continuò ad avere commissioni dalla Sicilia.

Perez
Stuccatori appartenenti alla cerchia serpottesca. Vittorio eseguì gli stucchi delle Cappelle di S. Anna e di S. Gioacchino a S. Giuseppe dei teatini (1718, non più esistenti). Probabilmente collaborò con Procopio Serpotta alla decorazione dell'Oratorio dell'lmmacolatella. Lavorò alla decorazione del SS. Salvatore, sotto la guida di Giovan Maria Serpotta. Salvatore lavorò alla decorazione della Chiesa di S. Antonino.

Serpotta
Giacomo Serpotta
Famiglia di insigni scultori e stuccatori. Il capostipite fu Gaspare (1634-1670), maestro e padre del grande Giacomo, nato nel 1656 e morto nel 1732. Questi viene generalmente ritenuto l'artista siciliano di maggior rilievo dopo Antonello da Messina. Egli, infatti, seppe realizzare con una materiale umile come lo stucco capolavori di decorazione plastica in cui echi classicheggianti e rococò si fondono in un linguaggio leggiadro ed elegante. Le sue opere più famose si trovano soprattutto a Palermo. Decorò fra l'altro gli Oratori di San Lorenzo, di Santa Cita e del Rosario in San Domenico, considerati fra le sue prove più notevoli. Fu sepolto nella Chiesa di S. Matteo per la quale eseguì l'altorilievo I benefici delle anime purganti e le quattro statue in stucco raffiguranti la Fede, la Speranza, la Carità e la Giustizia
Fratello maggiore di Giacomo fu Giuseppe (1653-1719). I due fratelli collaborarono sempre e Giuseppe, sebbene ritenuto oggi inferiore a Giacomo, fu molto stimato dai contemporanei. Nessuno dei due si sposò, ma Giacomo ebbe un figlio naturale Procopio (Palermo 1679 - Caccamo 1755), che operò nel solco della sua ricerca. I due non ebbero rapporti facili, tanto che Procopio fu praticamente diseredato. Figlio di Procopio fu Giovan Maria, attivo in ambito palermitano sulla scia del padre e del nonno fino agli anni Sessanta del XVIII secolo. Si elencano di seguito le opere realizzate dai Serpotta.
ORATORIO DI S. MERCURIO - Piazza della Pinta, 10 – Giacomo Serpotta, 1678 (attribuiti).
CHIESA DELL’ITRIA -Piazza della Pinta - Giuseppe Serpotta, 1682 (attribuiti).
CHIESA DEL CARMINE MAGGIORE Piazza del Carmine, Altari del transetto, Giacomo e Gaspare Serpotta, 1683-84.
ORATORIO DEL ROSARIO DI S. CITA – Via Valverde – Giacomo Serpotta, 1685-1717.
CHIESA DI S. ORSOLA DEI NEGRI -Via Maqueda, Giacomo Serpotta, cappella delle Anime Purganti (1685-96); cappella di S. Orsola (1696).
COLLEGIO MASSIMO DEI GESUITI - Corso V. Emanuele -Giacomo Serpotta, statua della Vergine e nicchia nella scala, 1690.
CHIESA DI S. SEBASTIANO ALLA MARINA Via S. Sebastiano -Giacomo Serpotta, stucchi delle cappelle di S. Stefano, SS. Annunziata e S. Onofrio in S. Sebastiano alla Marina,1692.
CHIESA DELLA BADIA NUOVA - via Incoronazione – Giacomo Serpotta, stucchi del sottocoro, 1693 circa.
ORATORIO DEL CARMINELLO Via Porta S. Agata, 5 – Giacomo e Giuseppe Serpotta, 1694 -1700 (attribuiti).
ORATORIO DELL’INFERMERIA DEI SACERDOTI (CHIESA DEI SANTI PIETRO E PAOLO) Via Matteo Bonello, 6 – Giacomo Serpotta, altari di S. Ferdinando e S. Rosa nella nuova cappella dell’Infermeria dei Sacerdoti, 1698.
ORATORIO DI SAN LORENZO - Via Immacolatella – Giacomo Serpotta, 1699-1707-
ORATORIO DI S. GIUSEPPE DEI FALEGNAMI - Via Maqueda,172 ,Giuseppe Serpotta, 1701.
CHIESA DI S. TERESA A PORTA DEI GRECI Piazza Kalsa-Giuseppe e Procopio Serpotta, stucchi della volta, 1702.
CHIESA DI S. GIUSEPPE DEI TEATINI - Corso V. Emanuele -Giuseppe Serpotta, cappella di S. Gaetano e volta del transetto sinistro, 1708.
CHIESA DI CASA PROFESSA (O DEL GESU’ ) - Piazza Casa Professa - Giacomo e Procopio Serpotta, cappella dei SS. Martiri, 1704- Procopio Serpotta, stucchi della navata destra, 1704-1705;
stucchi della navata sinistra, 1711-1713.
CHIESA DELLA GANCIA ( S. MARIA DEGLI ANGELI ) – Via Alloro - Giacomo Serpotta, stucchi delle cappelle dello Sposalizio della Vergine e della Madonna di Guadalupe, 1706. c.
ORATORIO DEL ROSARIO IN S. DOMENICO -Via Bambinai- Giacomo Serpotta, 1707-17.
CHIESA DELLA PIETA’ - Via Torremuzza - Giacomo, Giuseppe e Procopio Serpotta, stucchi della volta della navata, 1708 - Giovanni Maria Serpotta, stucchi del cappellone, 1755-56 Procopio Serpotta, coro , 1722-23.
CHIESA DI S. AGOSTINO - Via F. Raimondo – Giacomo Serpotta, 1711-1727.
CHIESA DI S. NINFA DEI CROCIFERI - Via Maqueda – Giacomo Serpotta, cappella del SS. Crocifisso 1720-30. Giacomo o Procopio Serpotta cappella di S.Venanzio.
CHIESA DELL’ASSUNTA - Via Maqueda - Giuseppe Serpotta, navata, 1715-1716 -Procopio Serpotta, figure femminili ai lati dell’abside, 1738 (attribuiti).
ORATORIO DI S. CATERINA D’ALESSANDRA ALL’OLIVELLA - Via Monteleone, 5, Procopio Serpotta, 1719-24.
CHIESA DI S. FRANCESCO D’ASSISI - Piazza S. Francesco d’Assisi, Giacomo Serpotta, statue allegoriche, 1725.
ORATORIO DELL’IMMACOLATELLA - Via Immacolatella -Procopio Serpotta 1725-26.
CHIESA DI S. CATERINA - Piazza Bellini - Procopio Serpotta, stucchi della volta del presbiterio e della navata, 1725-28.
CHIESA DI S. MATTEO - Corso V. Emanuele – Giacomo Serpotta, 1728-29.
CHIESA DI S. GIOACCHINO (COLLEGIO DI MARIA ALL’OLIVELLA) - Via Patania - Procopio Serpotta, cappellone, 1742.
ORATORIO DEL SABATO - Piazza Casa Professa – attribuito a Procopio Serpotta.
CHIESA DI S. GIOVANNI DEI NAPOLETANI (o S. GIOVANNI ALLA MARINA) - Corso V. Emanuele - Procopio Serpotta, cappelle di S. Gennaro e dell’Immacolata, 1745-46.
CHIESA DEI TRE RE - Via Montevergine ang. Via Celso-Procopio e Giovan Maria Serpotta, 1750-51.
ORATORIO DI S. STEFANO - Piazza Monte di Pietà, Giovanni Maria Serpotta, 1755 (decorazione in gran parte distrutta).
CHIESA DI S. MARIA LA NUOVA - Via Meli , Procopio Serpotta, decorazione del presbiterio 1754-55 (attribuito).
CHIESA DI S. DOMENICO - Piazza S. Domenico – Giovanni Maria Serpotta, facciata, 1755-57.

OPERE DI GIACOMO SERPOTTA FUORI PALERMO

AGRIGENTO – Chiesa di S. SPIRITO, 1694 (?)

ALCAMO – CHIESA DEI SS. COSMA E DAMIANO, 1722 – CHIESA DELLA BADIA NUOVA.

CASTELBUONO – CAPPELLA DI S. ANNA (attribuiti).

MONREALE – CHIESA DELLA MADONNA DELL’ITRIA, con Procopio De Ferrari , 1677 – COLLEGIATA, ABSIDE, 1723.

Andrea Sulfarello
Tra i più attivi stuccatori contemporanei a Giacomo Serpotta, Andrea Sulfarello nel 1679 eseguì la decorazione su disegno di Paolo Amato della Cappella di Santa Maria della Soledad. Collaborò con il La Farina e con il fratello Vito, appartenente alla cerchia degli aiuti di Gaspare Serpotta. Con il La Farina realizzò i decori a stucco per le Cappelle del transetto di S. Ninfa e di S. Carlo Borromeo. Il La Farina scomparve prima di terminare l'opera, ma anche per Sulfarello si tratta dell'ultimo lavoro documentato.

I personaggi illustri sepolti nella chiesa S. Ninfa

Sir John Francis Edward Acton VI Baronetto (Besancon, 3 giugno 1736- Palermo, 12 agosto 1811)
Politico inglese, fu ministro del Regno di Napoli durante il regno di Ferdinando I. Noto in Italia anche come Giovanni Acton o John Acton. Figlio di Edward Acton, un medico di Besançon, nel 1781 ereditò il titolo ed il patrimonio di suo cugino di terzo grado Sir Richard Acton V Baronetto di Aldenham Hall Shropshire. Entrò nella marina Francese, dopo poco tempo passò a quella del Granducato di Toscana e nel 1775 comandò una fregata nella spedizione congiunta spagnola e toscana contro Algeri, distinguendosi per coraggio e risorse. Nel 1778 la regina Maria Carolina di Napoli chiese a suo fratello il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di permettere ad Acton di recarsi a Napoli per riorganizzare la marina militare. Dimostrò grande abilità in questo compito ed entrò subito nelle grazie della regina, con la quale probabilmente ebbe anche una relazione intima. La regina Maria Carolina trovò in Acton un valido aiuto nella realizzazione del suo disegno di avvicinamento all'Austria (sua patria natale) e poi all'Inghilterra, nemica acerrima dell'odiata Francia rivoluzionaria. In pochissimo tempo divenne Ministro della Marina e della Guerra, nonostante le preoccupazioni della Spagna (il cui re Carlo II aveva preceduto il figlio Ferdinando I sul trono di Napoli) per l'amicizia tra Acton e l'ambasciatore britannico, Sir William Hamilton e la moglie di quest'ultimo Emma Hamilton, confidente della stessa regina. Dopo la rivoluzione Francese, in accordo con la nuova politica di conservatorismo e repressione dei regnanti, che lo nominarono Primo Ministro, divenne un accanito persecutore delle nuove idee giacobine. Nel dicembre del 1798, dopo la sconfitta dell'esercito napoletano che aveva invaso la Repubblica Romana, fuggì in Sicilia insieme al re ed alla regina, sul Vanguard di Orazio Nelson. Pochi mesi più tardi, al suo ritorno, partecipò attivamente alla sanguinosa repressione che seguì la rovina dell'effimera Repubblica Partenopea. Nel febbraio del 1806 i francesi tornarono a Napoli e lo costrinsero nuovamente a fuggire, con la famiglia reale, a Palermo, dove morì.

Famiglia Marassi
Fu portata da un Giovan Battista, nei primi anni della seconda metà del secolo XVII, in Palermo dove godette nobiltà, possedendo anche la ducea di Pietratagliata, le baronie di Misilcarari o Fontanasalsa, Camitrice, ecc. Un Biagio fu governatore della Tavola di Palermo nel 1698 e senatore di Palermo nell’anno 1699-1700; un Girolamo, con privilegio dato a 24 settembre esecutoriato a 6 novembre 1708, ottenne il titolo di duca di Pietratagliata (morì nel 1742); un altro Girolamo, duca di Pietratagliata, fu senatore di Palermo nell’anno 1784-85 e fu padre di Giovan Battista Marassi e Cottone, ultimo duca di Pietratagliata in casa Marassi. I Marassi si imparentarono con i Tarallo quando Maria Cirilla, secondogenita figlia del Marchese Tarallo d’Altamira sposò Girolamo Marassi duca di Pietratagliata. La primogenita Maria Cirilla Marassi e La Rocca, il 14.10.1818 sposò Luigi Alliata Moncada, terzogenito del Principe di Villafranca, dal matrimonio nacquero due figli, Fabrizio e Giovan Battista Alliata Marassi. Fabrizio Alliata e Marassi sposò la nobile Marianna Moncada dei principi di Paternò, dalla quale ebbe: Pietro duca di Pietratagliata, barone di Camitrice, e barone di Misilxarari o Fontanasalsa, marito della nobile Carolina Notarbartolo e Pignatelli e padre di Fabrizio e Giulia; Giovanni marito di Angela Pettini; Luigi marito di Bianca Notarbartolo e padre di Fabrizio ed altri; Ernesto; Cirilla; Teresa moglie del marchese Giuseppe Natoli e Maria moglie di Enrico Napoli.
Tra le proprietà dei Marassi figurava Palazzo Tarallo (ereditato da Cirilla Tarallo nel 1757) sito in via delle Pergole, oggi sede del Museo Pitrè e Palazzo Termine principe di Baucina, (rilevato dai Marassi nel 1749) oggi conosciuto come Palazzo Alliata Termine di Pietratagliata, sito in via Bandiera.
Arma: partito: nel primo troncato: a) d’oro, all’aquila al volo abbassato di nero, coronata del medesimo; b) d’oro, all’albero verde nodrito sovra la campagna al naturale; nel 2° di rosso, a tre spade manicate d’oro, 2 e 1 il manico in giù. (tratto da Nobiliario siciliano)

Vincenzo Amato
Nacque in Ciminna il 6 gennaio 1629 da Giandomenico e Laura Amato. Come il fratello minore Paolo si recò da giovane a Palermo per studiare nel seminario arcivescovile e farsi prete. Finito il corso degli studi, ottenne la laurea in Teologia. Ma si rese celebre e fece onore al suo paese grazie agli studi musicali. Nel 1656 pubblicò a Palermo alcuni lavori pregevolissimi, che sono giunti sino a noi: I Sacri concerti a 2, 3, 4 e 5 voci, con una messa a 3 e a 4 voci. Libro I. Opera I. Pan. apud Bisagnium 1656.
Una Messa e salmi di Vespro e Compieta a 4 e 5 voci. Libro I. Op. IL Ibid. 1656.
Musicò la Passione secondo S. Matteo e secondo S. Giovanni molto apprezzate dai contemporanei anche fuori dall’Italia. Per questi meriti, nell'anno 1665, fu eletto maestro di cappella nella cattedrale di Palermo. Diede un grande impulso alla musica sacra nel secolo XVII, addirittura anticipando più di mezzo secolo Johan Sebastian Bach, che nel 1729, fece eseguire, per la prima volta a Lipsia, la sua Passione secondo S. Matteo. Morì a Palermo il 29 luglio 1670 alla giovane età di 42 anni. Ebbe solenni esequie, alle quali intervennero il corpo di tutti i musici, il capitolo e il clero della cattedrale.

Bibliografia

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J.Chevalier, A.Gheerbrant - Dizionario dei simboli- Bur dizionari Rizzoli Milano 1989
M.C. Ruggieri Tricoli-IL TEATRO E L’ALTARE PALIOTTI “D’ARCHITETTURA” IN SICILIA- Edizioni Grifo Palermo 1992
M.C. Ruggieri Tricoli-PAOLO AMATO LA CORONA E IL SERPENTE- STASS srl. Palermo 1983
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