venerdì 11 maggio 2018

Lo Spasimo di Sicilia di Raffaello e la diffusione della sua iconografia attraverso copie.


Liceo Classico Statale “G. Garibaldi”Palermo Corso di Storia dell’Arte-Sezioni B-F-L-M prof. Ignazio Francesco Ciappa

Panormus. La scuola adotta la città” 18, 19 e 20 Maggio 2018 Complesso Monumentale di S. Maria dello Spasimo Palermo



Lo Spasimo di Sicilia di Raffaello

e la diffusione della sua iconografia attraverso copie.


RAFFAELLO ANDATA AL CALVARIO O “SPASIMO DI SICILIA”1515-16
Museo del Prado Madrid 
Olio su tavola trasportato su tela cm 318 x229

L’arrivo a Palermo dello Spasimo di Sicilia, rappresentò, per la produzione artistica locale “un fatto notevolissimo onde l’italiana pittura si era rivelata in Sicilia nel massimo suo splendore”(1).
La realizzazione della tavola, alla quale lavorarono ampiamente anche gli allievi del Sanzio, Giovan Francesco Penni e Giulio Romano,
(2) si fa risalire intorno al 1517, anno della più antica delle due incisioni a bulino realizzate da Agostino dei Musi, meglio noto come Agostino Veneziano, raffiguranti, seppur con qualche lieve “licenza” rispetto al modello raffaellesco, il tema dello Spasimo di Sicilia (3).
In merito alla genesi compositiva dello Spasimo di Sicilia, va detto che questa, affonda le sue radici, con tutta evidenza, nella tradizione incisoria di ascendenza nordica, guardando, in particolar modo, alla produzione di Luca di Leida (Leida, 1494 – ivi, 1533) (4-5). E' ormai condivisa la tesi secondo la quale Raffaello abbia guardato alle incisioni recanti il tema della Andata al Calvario inserite nei cicli della Grande Passione (1498 ca.) e della Piccola Passione (1509), realizzati da Albrecht Dürer, (Norimberga, 1471 – ivi, 1528), nonché all’incisione di analogo soggetto eseguita da Martin Shongauer (Colmar, 1448 – Breisach am Rhein, 1491) (6).
Lo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia, soprattutto in ambito locale, godette di una vasta popolarità. Molti artisti eseguirono meccaniche riproduzioni dell’opera dell’Urbinate, spesso di mediocre qualità, mentre altri si richiamarono liberamente allo schema compositivo. In Sicilia questo fenomeno fu certamente favorito dalla fama del Sanzio, sebbene l’opera dell’Urbinate, va detto, non apportò novità degne di nota in riferimento alla poetica pittorica isolana.



Arazzo del cardinal Bibbiena. Roma (1517 - 1520)


La prima opera figurativa che si richiamò esplicitamente allo schema iconografico dello Spasimo di Sicilia fu il cosiddetto Arazzo del cardinal Bibbiena. La realizzazione di quest’opera, commissionata per l’appunto dal cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (Bibbiena, 1470 – Roma, 1520) si fa comunemente risalire a un periodo compreso tra il 1517 e il 1520, appena successiva quindi alla realizzazione della tavola destinata al convento palermitano dell’Ordine benedettino di Monte Oliveto. A comprovare l’attribuzione della committenza porporata sono, alle rispettive estremità degli angoli superiori della cornice esterna dell’arazzo, decorata dal tipico motivo a grottesche, le armi nobiliari della famiglia dei Dovizi, contrassegnate da due cornucopie incrociate e cariche di spighe di grano e, in basso, nella regione mediana della medesima cornice, l’ancor più inequivocabile insegna del cardinal Bibbiena, definita da uno scudo recante le armi dei Dovizi e quelle dei Medici sormontato dal galero cardinalizio. L’opera, tornata nel 1819 in Vaticano grazie all’acquisizione da parte di Papa Pio VII Chiaramonti dopo diversi passaggi di proprietà tra il XVIII e il XIX secolo, presenta dimensioni più contenute rispetto al dipinto di Raffaello e, come osserva Candace Adelson, che ne attribuisce l’esecuzione all’arazziere fiammingo Pieter van Aelst, era plausibilmente destinata ad assolvere alla funzione di pala d’altare (7).

Johannes (o Joan) de Matta, Polizzi Generosa (1521?)

Tra i primi dipinti riferibili allo Spasimo di Sicilia è certamente annoverabile l’opera dello spagnolo Johannes (o Joan) de Matta, conservata nella Chiesa Madre di Polizzi Generosa, città nella quale il pittore risiedeva e guidava la sua bottega. Il dipinto presenta al centro, sotto la figura del Redentore, la data (in parte lacunosa) MCCCCC (XX) I, anno che confermerebbe come la realizzazione dello stesso sia avvenuta quasi a ridosso, o comunque in un tempo assai prossimo, dell’arrivo a Palermo del quadro di Raffaello (8). Notevoli le differenze iconografiche specie sullo sfondo con una fortezza o una città turrita forse riferibili all'incisione di Albrecht Dürer,“Andata al Calvario”.


A. Crescenzio, Sciacca 1537
A. Crescenzio, Palermo 1538















 




Il palermitano Antonello Crescenzio realizza ben tre versioni di mediocre qualità. Tuttavia la critica è ormai concorde nell’assegnare in larga parte l’esecuzione delle ultime due agli aiuti di bottega. La più antica di queste copie, datata 1526 è oggi esposta presso la sede del rettorato dell’Università degli Studi di Messina. L’opera è firmata Antonello Panormita (9).
Le altre due copie, in alto a sinistra e a destra, la prima eseguita nel 1537 e proveniente dalla chiesa del monastero del Fazello di Sciacca, la seconda risalente invece al 1538 ed originariamente collocata presso la chiesa del Carmine di Palermo, e oggi conservata presso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, erano note anche a Gioacchino Di Marzo per le quali, il canonico palermitano, riservò un giudizio tutt’altro che lusinghiero. Queste le sue parole: “Esistono in fine due cattive copie del famoso Spasimo dell’Urbinate, ch’era allora, siccome è noto, in Palermo e ne fu tolto e trasportato in Ispagna. […] Perocchè in vero entrambe fanno onta a quell’insigne dipinto del Sanzio” e ancora, avallando il giudizio dello Janitschek in merito alla copia del 1538, ne riportò il pensiero dicendo: “Di questa scrisse il Janitschek essere una devastazione di Rafaello alla bizantina, manomettendone il carattere e i tipi e sostituendo un colorito scialbo, smorto, uggioso, cupo, pesante” (10). Sono decisamente diverse dal presunto originale e molto simili alla tavola di Caltanissetta. L'originalità risiede nella testa di Medusa all'interno dello scudo del soldato posto al centro che ritroviamo unicamente nell'incisone del Veneziano. Chiaro il riferimento alla Sicilia, della quale la Gorgone è l'emblema, e forse un monito agli occupanti spagnoli. Un'altra peculiarità di una copia del Crescenzio è la scritta SPQR sullo stendardo scritta in ambo i sensi.
  


J. Vignerio, Catania 1541 (dipinto originale)


(foto speculare del dipinto)

 






 





 





Nella chiesa catanese di San Francesco d’Assisi all’Immacolata si conserva una copia dello Spasimo di Sicilia realizzata in controparte su tavola centinata, eseguita nel 1541 da Jacopo Vignerio, pittore appartenente alla cerchia di Polidoro da Caravaggio (11).
A sinistra l'originale, a destra una riproduzione fotografica speculare. Una particolarità: la collina sullo sfondo non sembra più essere quella del Calvario, perché priva di croci, e la corda legata alla croce passa anzichè davanti, dietro il braccio del Cristo.


Marco La Vecchia, Collesano 1543-47

Nella chiesa madre di Collesano (S. Maria la Nuova) si conserva una copia dello Spasimo di Sicilia realizzata nel 1543-47 da Marco La Vecchia. Da notare sulla sinistra in basso l'aggiunta dei committenti inginocchiati e di un cartiglio in prossimità della mano sinistra del Cristo (12). Il braccio del Cireneo e quello di Cristo sono quasi sulla stessa linea, l'espressione di quest'ultimo è più serena, la corda passa all'altezza del suo collo, le braccia della Madonna che indossa una veste rosa sono lunghe e sproporzionate, è assente il monte Calvario e non appare alcuna lancia. L'armatura del cavaliere è argentea e la veste del Cireneo (barba e capelli bianchi) è verde. Lo scudo al centro è rosso senza alcun disegno.

J. Bassano, Lewes (UK) 1547

L’impianto iconografico dello Spasimo di Sicilia ottenne una larga fortuna nella produzione pittorica di Jacopo Dal Ponte detto il Bassano (Bassano del Grappa, 1510 ca. – ivi, 1592). Diverse sono, infatti, le Andate al Calvario realizzate dall’artista veneto secondo il modello della pala palermitana, come ben testimoniano, ad esempio: il Cristo che cade sotto la croce conservato a Londra presso la Matthiesen Gallery, risalente al 1536-37 (13); l’Ascesa al Calvario eseguita intorno al 1543-44 e oggi custodita a Cambridge, presso il Fitzwilliam Museum (14); o ancora l’opera di analogo soggetto eseguita intorno al 1547 per il convento di San Giovanni a Bassano del Grappa e attualmente facente parte della collezione Christie a Glyndebourne, Lewes (15).
 

S. de Wobreck, Caccamo
seconda metà del XVI secolo

Il fiammingo Simone de Wobreck (nato ad Harlem nella prima metà del XVI secolo e giunto a Palermo nel 1558) realizza due tavole recanti il tema della caduta di Cristo lungo la Via Dolorosa. La prima, proveniente dalla chiesa di San Francesco d’Assisi a Caccamo è attualmente conservata nel vano d’accesso alla sagrestia della chiesa madre di San Giorgio Martire della medesima cittadina. Anche in essa nonostante le notevoli differenze nell'iconografia, specie per la presenza della Veronica, appaiono chiari i riferimenti al dipinto di Raffaello (16).

Bottega di Polidoro da Caravaggio ?
Caltanissetta
seconda metà del XVI secolo
Un’altra fedele riproduzione della Salita al Calvario di Raffaello Sanzio si trova a Caltanissetta, dove oggi è esposta presso il locale Museo Diocesano. L’opera, proveniente dalla chiesa nissena di Santa Croce e riconducibile probabilmente alla seconda metà del XVI secolo, presenta una esecuzione piuttosto sommaria. Nonostante la firma “R. Urbinas”, il dipinto custodito a Caltanissetta appartiene forse alla bottega di Polidoro da Caravaggio, o probabilmente a seguaci della sua bottega. Molte le tecniche adoperate per ottenere dati sul dipinto: dalla datazione effettuata con il carbonio 14, all'analisi spettroscopica sul legno ai raggi ultravioletti, fluorescenza ai raggi X e Tac. L'opera fu realizzata su due tavole di legno africano affiancate l'una all'altra, datate intorno alla metà del Cinquecento (17).

G. P. Fonduli, Castelvetrano 1574


Una delle repliche più fedeli dello Spasimo di Raffaello esistenti in Sicilia, sia in termini di formato che di resa pittorica, è certamente la tavola eseguita nel 1574 dal pittore cremonese Giovanni Paolo Fonduli (o Fondulli), su commissione di Don Carlo d’Aragona Tagliavia per la chiesa di San Domenico a Castelvetrano (18).


Giuseppe Sirena, Madrid 1585

Nell’oratorio di San Filippo Neri di Alcalà de Henares, in Spagna, si conserva una bella copia dello Spasimo di Sicilia realizzata su tela centinata dal pittore Giuseppe Sirena intorno al 1585 e inviata, su commissione del viceré conte di Albadelista, da Palermo a Madrid (19) prima del trasferimento dell'originale raffaellesco a Madrid.

Anonimo, Palermo 1661
La replica conservata nella chiesa di San Giorgio in Kemonia, odierna San Giuseppe Cafasso, è verosimilmente quella che, nel 1661, andò a sostituire l’originale dopo che quest’ultimo lasciò Palermo (20).

R. Politi, Noto 1809
Infine nella Cattedrale di Noto (Siracusa) si conserva una copia ottocentesca (1809) dello Spasimo di Sicilia eseguita dal pittore siracusano Raffaello (o Raffaele) Politi (Siracusa, 1783 – Agrigento, 1870). L’opera in questione, figlia anche di un orientamento culturale votato al recupero di un certo accademismo, ricalca meccanicamente la composizione della tavola dell’Urbinate che il Politi osservò in Spagna al fine di realizzare la tela di Noto (21).

Note
(1) G. Di Marzo, La pittura in Palermo nel Rinascimento. Storia e documenti, Alberto Reber, Palermo 1899, p. 274.
(2) M.A. Spadaro, Raffaello e lo Spasimo di Sicilia, Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo, Palermo 1991, p. 9.
(3) C. Gardner von Teuffel, Lo Spasimo di Sicilia (scheda dell’opera), in Raffaello in Vaticano, catalogo della mostra (Città del Vaticano - Braccio di Carlo Magno, 16 ottobre 1984 - 16 gennaio 1985), Electa, Milano 1984, pp. 276, 277.
(4) P. Leone de Castris, Polidoro da Caravaggio. L’opera completa, Electa Napoli, Napoli 2001, p. 381.
(5) C. Gardner von Teuffel, Lo Spasimo…, 1984, p. 276.
(6) T. Pugliatti, Lo Spasimo di Raffaello, la sua influenza ed alcuni umori di marca iberica nella pittura palermitana del Cinquecento, in Vincenzo degli Azani…, 1999, p. 49.
(7) C. Adelson, La Salita al Calvario (scheda dell’opera), in Raffaello in Vaticano…, 1984, pp. 277-280.
(8) V. Abbate, Johannes de Matta. Lo Spasimo di Sicilia (scheda dell’opera), in Vincenzo degli Azani…, 1999, p. 336.
(9) T. Pugliatti, Lo Spasimo…, 1999, p. 52.
(10) G. Di Marzo, La pittura in Palermo…, 1899, p. 152.
(11) T. Pugliatti, Lo Spasimo…, 1999, p. 52.
(12) R. Termotto, Collesano guida alla Chiesa Madre. Basilica di S. Pietro, Notiziario Parrocchiale Insieme, Collesano 2010, p. 86.
(13) W.R. Rearick, Vita ed Opere di Jacopo Dal Ponte, detto Bassano c. 1510-1592, in Jacopo Bassano c. 1510-1592, catalogo della mostra (Bassano del Grappa, Museo Civico 5 settembre – 6 dicembre 1992; Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum 23 gennaio – 25 aprile 1993) a cura di B.L. Brown, P. Marini, Nuova Alfa, Bologna 1992, p. LXV.
(14) G. Ericani, Andata al Calvario (scheda dell’opera), in Jacopo Bassano…, 1992, p. 32.
(15) W.R. Rearick, Vita ed Opere…, 1992, pp. XCV, XCVI.
(16) T. Pugliatti, Pittura della Tarda Maniera nella Sicilia occidentale (1557-1647), Kalós, Palermo 2011, pp. 38, 39.
(17) S. Grasso, I dipinti (secoli XVI-XVII), in Il museo diocesano di Caltanissetta, a cura di S. Rizzo, A. Bruccheri, F. Ciancimino, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta 2001, pp. 78, 79
(18) E. De Castro, Giovanni Paolo Fonduli. Andata al Calvario – Lo Spasimo di Sicilia (scheda dell’opera), in Vincenzo degli Azani…, 1999, p. 439.
(19) R.A. González Mozo, R. Alonso Alonso, Reflexión…, 2011, p. 107.
(20) S. Grasso, Le arti figurative, in La chiesa di San Giorgio in Kemonia in San Giuseppe Cafasso – contesti, cronache e committenze, Abadir, Bagheria 2009, p. 162.
(21) N. Zappulla, La Cattedrale di Noto, Edizioni La Cattedrale, Noto 1967, p. 70; G. Barbera, Andata al Calvario (scheda dell’opera), in Opere d’arte restaurate nelle provinvie di Siracusa e Ragusa IV (1993-1995), a cura di G. Barbera, Ediprint, Siracusa 1997, pp. 98-99.

sabato 6 maggio 2017

Il Complesso Monumentale di S. Maria dello Spasimo

Liceo Classico Statale “G. Garibaldi”Palermo Corso di Storia dell’Arte-Sezioni B- F-L- M prof. Ignazio Francesco Ciappa

Panormus.la scuola adotta la città” 18, 19 e 20 Maggio 2018 Complesso Monumentale di S. Maria dello Spasimo Palermo





Il Complesso Monumentale
di

S. Maria dello Spasimo

Palermo







LA STORIA

La chiesa Santa Maria dello Spasimo, conosciuta come "Lo Spasimo" è sita nel quartiere della “Kalsa” fra piazza Magione e via Lincoln. L'accesso avviene da via dello Spasimo dove prospettano gli edifìci un tempo appartenenti al Monastero annesso alla chiesa stessa.
Il complesso conventuale fu voluto nei primi anni del XVI secolo da Jacopo de Basilico (o de Basilio), giureconsulto di origini messinesi, che volle rispettare le volontà testamentarie della moglie Ilaria Resolmini, nobildonna di origini pisane, desiderosa di innalzare una chiesa dedicata al dolore immenso di Maria, sofferente dinanzi al figlio che crolla sotto il peso della Croce sulla via del Calvario. Il de Basilico, esimio uomo di legge, reduce da un viaggio in Terra Santa, donò ai padri olivetani di Santa Maria del Bosco “un tenimento di case, vigne e giardino di sua proprietà, ai margini del quartiere della Kalsa, per l’edificazione di una Chiesa con annesso convento” e costituì una rendita di cento onze sui propri beni per il finanziamento del cantiere del nuovo monastero “extra portam Grecorum Panhormi”1. Quel terreno di sua proprietà si trovava a 60 passi da Porta dei Greci, come la chiesa armena del VII sec. dedicata a Nostra Signora dello Spasimo di Gerusalemme era a 60 passi dalla Porta Giudicarla, secondo quanto è descritto nella settima stazione della “Via Crucis” che vede la seconda caduta di Cristo sulla via del Calvario2.
La costruzione degli edifìci conventuali fu intrapresa dai monaci benedettini dell'Ordine di S. Maria di Monte Oliveto. Questi, originariamente stanziati presso l'Abbazia di S. Maria del Bosco di Calatamauro, riuscivano così a coronare il loro sogno di edificare una loro sede nel capoluogo. Il 21 maggio del 1509 una Bolla di Papa Giulio II autorizzava la donazione del de Basilico per l’edificazione di una chiesa con “campanile, campana, cimitero, chiostri, refettorio, dormitorio, orti, orticelli e varie officine per la necessità dell’ordine”. Sempre nel maggio del 1509 a Siena l’abate generale dell’ordine di Monte Oliveto, frate Tommaso Pallavicino autorizzava il monastero di Santa Maria del Bosco a concedere in enfiteusi l’antica “gancia” di Santa Barbara, di proprietà dell’ordine, per un canone minimo di cento ducati annui, nell’intento di garantire ulteriore copertura finanziaria al progetto edificatorio del complesso3. Anche i terreni donati dal de Basilico, che all’inizio sembravano sufficienti, risultarono invece incapaci di contenere nei loro confini il grandioso progetto previsto da Padri Olivetani, rendendosi necessaria l’acquisizione di nuovi spazi. Nel marzo del 1517, quando donna Eleonora del Tocco concesse ai monaci alcuni suoi terreni adiacenti al monastero, essi si sommarono a quelli donati dal giureconsulto4. Secondo le volontà della Resolmini la chiesa avrebbe dovuto essere terminata entro sei anni e proprio dopo sei anni, nel 1515, lo stesso Basilico commissionò per il convento dello Spasimo a Raffaello il quadro “Andata al Calvario”, meglio conosciuto come lo “Spasimo di Sicilia” per la figura della Madonna che soffre, “spasima” dinanzi al Cristo sofferente. Il dipinto fu collocato in un'edicola marmorea realizzala da Antonello Gagini prima del 15195. Nel 1525 venne poi realizzata la cappella Anzalone; il Gagini si impegnò a scolpire la Madonna del Buon Riposo che venne consegnata nel 1528 e collocata nella stessa cappella6. Nel 1661 il quadro di Raffaello fu donato al re spagnolo Filippo IV dal vicerè di Napoli don Ferdinando Fonseca e Toledo, Conte di Ayala perché intercedesse in una discordia tra i Padri Olivetani e l'abate del monastero di S. Spirito. Il prezioso dipinto è oggi esposto al Museo del Prado di Madrid. Capomastro della fabbrica di S. Maria dello Spasimo fin dal suo avvio fu Antonio Belguardo da Scicli7, personaggio ancora oggi poco noto ma certamente uno dei protagonisti dell’architettura palermitana del primo cinquecento (insieme al più noto architetto netino Matteo Carnilivari col quale collaborò). Gli inizi del Belguardo sono probabilmente da riferirsi alla sua attività di scalpellino o intagliatore nella sua città di origine Scicli dove era presente una forte tradizione di lapicidi.8 Il Belguardo si impegnò nella realizzazione dei principali elementi strutturali (archi, volte e modanature in pietra) della chiesa, i cui caratteri architettonici rappresentano quasi un unicum nel panorama costruttivo siciliano, per la tipica concezione dell’architettura di gusto gotico-settentrionale, con influssi di importazione iberica, che ancora oggi possiamo ammirare in alcune delle migliori realizzazioni di quel periodo. Purtroppo il progetto iniziale, peraltro molto ambizioso, che avrebbe portato alla realizzazione di uno dei complessi architettonici più interessanti e rilevanti anche dimensionalmente, non fu mai portato a termine e l'opera rimase incompiuta.
Il Complesso di S. Maria dello Spasimo e il bastione in una foto aerea
  Le vicende riguardanti la fabbrica del complesso si intrecciarono infatti con quelle delle nuove opere di fortificazione che si sarebbero realizzate a Palermo, poiché, con l'introduzione di nuove armi da guerra e in particolare dell'artiglieria, il vecchio sistema di difesa non era più idoneo. Nel 1535 Solimano II minacciava di assalire la città di Palermo, così il viceré di Sicilia don Ferrante Gonzaga decise di potenziare le difese militari dell'isola facendo costruite cinte murarie bastionate e baluardi.
In particolare per proteggere i punti più sensibili della città il progetto della nuova cinta bastionata redatto dall’architetto bergamasco Antonio Ferramolino prevedeva, tra gli altri, la realizzazione di uno dei bastioni appunto nell’area del convento dello Spasimo. A partire dal 1537 iniziarono i lavori sul fianco meridionale della chiesa per rafforzare le mura. A occuparsi dei lavori di rinnovamento delle mura fu chiamato dal 1536 al 1540 lo stesso Antonio Belguardo9nel frattempo assurto ad architetto reale. Furono abbattuti parte del campanile della chiesa, dei chiostri e delle stanze dei monaci stravolgendo la configurazione dell’intera struttura. I danneggiamenti subiti dal convento dello Spasimo furono talmente importanti da indurre i padri a chiedere di essere ospitati nella vicina chiesa della Magione per potere espletare momentaneamente le loro funzioni, in quanto inizialmente non avevano intenzione di abbandonare il loro monastero, ma la richiesta non ebbe seguito. Dopo tante vicissitudini i monaci furono costretti ad abbandonare il complesso abbaziale della Kalsa nel 1573, dopo che questo era stato definitivamente acquistato dal Senato per la somma di 4000 once nel 1569, per esigenze militari. Si trasferirono quindi nell’abbazia normanna di Santo Spirito, fuori città, non senza avere portato via l'altare del Gagini e la Pala di Raffaello.
Tutto il fronte meridionale della chiesa venne incorporato nel bastione dello Spasimo, visibile da via Lincoln, e lo spazio fu colmato da un terrapieno, preceduto da un fossato, che occultava, dall'esterno, la vista della chiesa, facendola somigliare ad una struttura fortificata.
Chiesa di S.Maria dello Spasimo, vista dalla navata verso il transetto e l'abside
Gli immobili, ormai proprietà del Senato della città, furono trasformati in magazzini municipali, mentre, tra il 1582 ed il 1692, la chiesa divenne il primo “teatro pubblico” della città, per volontà del vicerè Marcantonio Colonna, che vi fece rappresentare l’Aminta di Torquato Tasso proprio nel 1582. In seguito vi si tennero rappresentazioni di carattere storico, religioso e mitologico. Nel 1593 sotto la direzione dell’architetto del Senato Giovanni Battista Collipietra molti degli ambienti dell'ex convento furono trasformati in magazzini di cereali e successivamente in albergo dei poveri e "deposito di mendicità". Durante la grave epidemia di peste del 1624 una parte degli edifici fu trasformata in lazzaretto. Agli inizi del XVIII secolo il complesso versava già in condizione di grave degrado; infatti nel 1718 Don Antonino Mongitore erudito e storico del '700, visita la chiesa descrivendone le condizioni e l’uso in una relazione scritta corredata da due sommari schizzi a penna e la colloca tra quelle dirute10.
A partire dal 1835 ad opera del Principe di Palagonia vennero apportate modifiche agli edifìci per assolvere alla nuova funzione di ospizio di mendicità e di nosocomio. Nella navata scoperchiata fu realizzato un giardino; sopra le cappelle laterali al primo piano vennero costruite le stanze ospedaliere; negli spazi delle cappelle fu realizzata una piccola chiesa. Dopo l'Unità d'Italia parte dei magazzini che in precedenza erano stati utilizzati come granai vennero trasformati in deposito di merci varie, compresa la neve proveniente dalle montagne che veniva utilizzata per rinfrescare le bevande e per realizzare gelati. La funzione ospedaliera fu mantenuta fìno al 1986, prima come sifìlicomio (ospedale meretricio aggregato all’ospedale grande di palazzo Sclafani dal 185811), quindi dal 1888 come pertinenza dell'Ospedale Civico, dal 1898 con la denominazione di Ospedale Principe Umberto, in condizioni poco consone ad una struttura sanitaria. Nel 1931 l'alluvione provocò i primi danni alla chiesa che i terremoti del 1940 e del 1968 contribuirono ad accentuare.Alla fine del secondo conflitto mondiale, la chiesa venne utilizzata come deposito di materiale artistico proveniente da palazzi e chiese della città danneggiate dai bombardamenti e punto di raccolta di materiale lapideo da catalogare.Per anni cadde nell’oblio rimanendo praticamente in condizioni di semiabbandono insieme a quel che restava delle fabbriche adiacenti fino al 1988, anno in cui cominciarono i primi interventi di sgombero e sistemazione, seguito poi da un vasto lavoro di restauro e di ripristino dell’intero complesso.

L'ARCHITETTURA

Si accede al complesso attraverso il portale su via dello Spasimo che riporta ancora l'intitolazione al re Umberto I dell'ex ospedale. Superato l'androne, si scorgono sul fianco sinistro del cortile le prime arcate di uno dei lati del chiostro cinquecentesco che nelle intenzioni dei monaci olivetani sarebbe dovuto sorgere grandioso come la chiesa ma, per gli eventi che lo coinvolsero, non venne mai ultimato. Le arcate ribassate, prima nascoste sotto murature di tompagnamento e intonaco, e riportate alla luce nel marzo del 1996, poggiano su piedritti (elementi verticali aventi funzione portante) costituiti da un pilastro centrale affiancato ai lati da mezze colonne con capitelli (elementi terminali delle colonne) in pietra intagliata. I capitelli sono, alternativamente, di due tipi: uno con foglie d'acanto e l'altro con palmette stilizzate. La dimensione del cortile oggi risulta minore di quella originariamente prevista tanto che due arcate del chiostro originario sono oggi visibili all'interno di un locale adiacente al cortile stesso, la sala degli archi, restaurata ed utilizzata per mostre. Lasciando l'ambiente del chiostro e attraversando gli spazi ospedalieri si scorge sulla sinistra uno scalone in pietra creato per raggiungere i piani dell'ospedale.
Chiesa di S.Maria dello Spasimo, Pianta
Varcato il vano di accesso si giunge in un ambiente coperto con una volta in gesso a cassettoni. Quattro alti archi acuti introducono direttamente al transetto della chiesa dove troviamo l'abside, il coro, la navata centrale e quelle laterali. Lo stile originario, come già detto è gotico-settentrionale, con elementi di importazione iberico-catalana e influenze arabo-normanne nella cappella de Basilico che si descriverà in seguito. L'abside, di forma poligonale, ha una volta a stella. Gli spigoli rimarcati da snelli bastoni, si compongono nella costolatura della volta per concludersi nella chiave a goccia. Sull'altissimo muro che delimita l'abside si apre una grande finestra monofora sotto la quale è collocato un piccolo portale. Il coro è assieme all'abside la parte più integra della costruzione originaria.
Chiesa di S. Maria dello Spasimo, le volte dell'abside e del coro
Ha pianta quadrata e la volta a crociera di copertura è sostenuta agli angoli da quattro pilastri. Tutte le murature della struttura originaria sono costituite da pietrame informe legato da malta che si distingue dalle modanature e dagli elementi strutturali realizzati in pietra da taglio. Altre murature realizzate in conci di pietra squadrata sono evidentemente successivi ed hanno modificato la struttura originaria, ad esempio riducendo la spazialità del transetto. Il quadrato all'intersezione tra navata e transetto, oggi scoperto, è delimitato da quattro grandi archiogivali destinati forse a sostenere un tiburio.
La navata oggi risulta a cielo aperto, ma questa condizione viene già attestata da descrizioni, incisioni del XIX sec. e da fotografie risalenti ai primi del novecento anche se, forse fino alla prima metà del
Chiesa di S. Maria dello Spasimo, 
Cappella de Basilico
settecento, era ancora coperta da volte pur se in cattive condizioni. Ai due lati si aprono otto arconi a tutto sesto, quattro per lato, che la separano dalle navate laterali; queste sono suddivise in campate separate da archi a pieno centro e coperte da volte a crociera ogivali costolonate. Le navate laterali sono precedute da due ambienti quadrangolari, di cui uno, la cappella de Basilico,ancora oggi coperto da cupola. Tra i due vani si sviluppa un esonartece (portico d'ingresso), delimitato in facciata da un ampio arco ribassato. La cappella de Basilico, opera di Antonio Belguardo, presenta delle affinità con altre cappelle coperte da cupole sorrette da nicchie “arabo-normanne” frequenti nella cultura architettonica isolana di questo periodo e rappresenterebbe cronologicamente, (come documentato) il primo esempio tra queste, seguita dalla Cappella Spinola nella chiesa di S. Oliva in S. Francesco di Paola (1530), fortemente voluta dal viceré Pignatelli; dalla cupola della chiesa parrocchiale di S. Antonio de Cassaro (1516), trasformata e ampliata nel 1539, da quella non più esistente della tribuna della chiesa di S. Maria della Pietà (1519 e 1535-6) e dalla celebre cappella della Madonna dell’Annunziata nella chiesa di Trapani, attribuita al maestro palermitano Simone La Vaccara12 che sembrerebbe oggi potersi attribuire allo stesso Belguardo (inizi degli anni '30 del Cinquecento).
La performance Vanessa Beecroft - VB62

allo Spasimo
E' infatti documentata la presenza del maestro che ebbe modo di lavorare oltre che a Palermo e a Cefalù, a Partinico e a Trapani. 13

Uscendo dalla chiesa a sinistra si può notare un arco dell'ottocento, sotto il quale una scalinata di recente costruzione ci permette di arrivare sullo spalto del bastione, vasto terrapieno a meridione della chiesa sistemato a giardino, dove è ciò che rimane delle vecchie fortificazioni del cinquecento, e che da accesso alla Sala delle capriate.
Gli edifìci che circondano la chiesa si snodano attorno a vari cortili, tra i quali il principale forma l'atrio di ingresso al complesso.
Ai piani superiori rimangono grandi stanze di degenza. Nel giardino e negli spazi del complesso sono disseminati resti architettonici di edifìci demoliti ed abbandonati, tra cui il portale manieristico della chiesa di S. Giovanni Battista al Castellammare, trasferito nel 1922 nel non più esistente Ritiro di Suor Vincenza in piazza Tredici Vittime; conci della facciata della chiesa di S. Maria di Piedigrotta alla Cala; finestre di S. Nicolò alla Kalsa e lapidi del palazzo Pretorio.
Nelle ampie sale di degenza si svolgono eventi pubblici e mostre; vi è attiva una scuola di jazz e si tengono rappresentazioni teatrali. L'evento forse più interessante si è svolto il 12 luglio 2008 con la prima performance in Sicilia di Vanessa Beecroft, Vanessa Beecroft - VB62

RAFFAELLO
ANDATA AL CALVARIO O “SPASIMO DI SICILIA”

Giorgio Vasari descrive ampiamente la famosa tavola dipinta da Raffaello. Lo scrittore e trattatista racconta le incredibili vicende, quasi miracolose, che segnarono il viaggio dell'opera verso Palermo nella “Vita di Raffaello da Urbino” con le seguenti parole: “Fece poi Raffaello per il Monastero di Palermo detto Santa Maria dello Spasmo, de' frati di Monte Oliveto, una tavola d'un Cristo che porta la Croce, la quale è tenuta cosa maravigliosa. Conoscendosi in quella la impietà de' crocifissori che lo conducono alla morte al monte Calvario con grandissima rabbia, dove il Cristo, appassionatissimo nel tormento dello avvicinarsi alla morte, cascato in terra per il peso del legno della croce e bagnato di sudore e di sangue, si volta verso le Marie, che piangono dirottissimamente. Oltre ciò si vede fra loro Veronica che stende le braccia porgendogli un panno, con affetto di carità grandissima. Senza che l'opera è piena di armati a cavallo ed a piede, i quali sboccano fuora della porta di Gerusalemme con gli stendardi dalla giustizia in mano, in attitudini varie e bellissime. Questa tavola, finita del tutto, ma non condotta ancora al suo luogo, fu vicinissima a capitar male, percioché, secondo che dicono, essendo ella messa in mare per essere portata in Palermo una orribile tempesta percosse a uno scoglio la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse e si perderono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola solamente che, così incassata come era, fu portata dal mare in quel di Genova; dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina e per questo messa in custodia, essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno, percioché sino alla furia de' venti e l'onde del mare ebbono rispetto alla bellezza di tale opera, della quale, divulgandosi poi la fama, procacciarono i monaci di riaverla, et appena che con favori del Papa ella fu renduta loro, che, satisfecero, e bene, coloro che l'avevano salvata. Rimbarcatala dunque di nuovo e condottala pure in Sicilia, la posero in Palermo, nel qual luogo ha più fama e riputazione che 'l monte Vulcano».
RAFFAELLO ANDATA AL CALVARIO O “SPASIMO DI SICILIA”1515-16 
 Olio su tavola trasportato su tela cm 318 x229
Volendo sintetizzare, inviata da Roma per mare, la nave che la trasportava naufragò durante una tempesta, disperdendo tutto il suo carico: si salvò solo la tavola che fu condotta dalla corrente fin sulle coste di Genova, dove venne ripescata. Diffusasi la notizia della tavola “miracolata”, i frati di Monte Oliveto ottennero di riaverla da Papa Leone X e fu nuovamente inviata a Palermo, dove ebbe “più fama e riputazione che il monte di Vulcano” (cioè l'Etna). Ma nemmeno qui ebbe pace: acquistata segretamente nel 1661 il quadro fu donato al re spagnolo Filippo IV dal vicerè di Napoli don Ferdinando Fonseca e Toledo Conte di Ayala perché intercedesse in una discordia tra i Padri Olivetani e l'abate del monastero di S. Spirito. Ma una lettera conservata all'Archivio di Stato di Palermo racconta una storia leggermente differente. In essa la corte spagnola si impegna a pagare al monastero una pensione annua di 4000 scudi e al Priore Padre Clemente Staropoli la somma di 500 scudi in cambio del prezioso dono (ma la cifra pattuita fu pagata forse solo in parte). Il priore si era quindi fatto corrompere e, fatta realizzare una copia, aveva consegnato il dipinto al vicerè Ferdinando de Ajala che lo aveva inviato al Re Filippo IV per arredare la cappella del Palazzo Reale14. L'abate Staropoli fu nel 1666 destituito dalla carica con l'accusa di cattiva amministrazione15. Il dipinto salvato dall'incendio del reale Alcazar di Madrid del 1734 fu posto dal 1772 nella cappella del Palazzo reale di Madrid, dove il Mengs lo vide nel 1784. Venne trasferito a Parigi nel 1813 a seguito delle razzie napoleoniche e là fu trasportato da tavola su tela, ad opera di François-Toussaint Hacquin e di Feréol de Bonnemaison16.
Tornò in Spagna solo nel 1818 e documenti ne attestano la presenza nel 1837 all'Escorial17.
Dal 1857 ha trovato la sua collocazione in una delle sale più importanti del Museo del Prado.
Poiché il dipinto era destinato alla chiesa palermitana consacrata al Dolore (lo "Spasimo") della Vergine che assiste inerme alle sofferenze di Cristo (da cui deriva la sua denominazione comune di Spasimo di Sicilia), tema centrale del soggetto è lo scambio drammatico di sguardi e di gesti tra Gesù e la Madre. Rappresentativa è l'immagine della Madonna che, pur sofferente, vive consapevole il dolore senza cedere alla disperazione o a svenimenti: tale atteggiamento ricalca la posizione ufficiale sostenuta dalla Chiesa. Il dibatticto teologico di quegli anni sulla natura del dolore di Maria era arrivato alla conclusione che “l'abbandono alla disperazione o lo svenimento potevano implicare il dubbio sulla resurrezione finale di Cristo”. Il dipinto di Raffaello deve essere quindi considerato come la rappresentazione del corretto comportamento della Vergine sulla via del Calvario18. Anni prima, in occasione della realizzazione del drammatico Trasporto di Cristo morto eseguito a Perugia per Atalanta Baglioni il maestro aveva rappresentando Maria svenuta, segno che ancora tale dibattito non si era sviluppato.
Tornando a descrivere lo Spasimo di Sicilia, nel dipinto Raffaello manifesta il suo interesse verso gli stati d'animo esasperati e carica di tensione spirituale ed estetica la composizione impostandola secondo uno schema a croce di Sant'Andrea, che converge sulla figura del Cristo. Questi, secondo l'inventario del Prado redatto nel 1857, caduto sotto il peso della croce, annuncia alle pie donne la rovina di Gerusalemme dicendo: “Non piangete per me, piangete per voi e i vostri figli”19.
Per quanto nella fase esecutiva del quadro si sia accertato l'intervento della bottega, nello specifico di Giulio Romano e di Giovanfrancesco Penni (come del resto nella gran parte delle opere sia su tavola che ad affresco realizzate nell'ultima fase della vita dell'artista) - tuttavia l'invenzione è completamente di Raffaello che si riferì al già citato Trasporto di Cristo morto eseguito a Perugia per Atalanta Baglioni, e completato nel 1507, di cui riprende non solo lo svolgersi di un tema non consueto, un tema drammatico che non prediligeva, ma anche quell'intrecciarsi di sguardi fra alcuni dei protagonisti della scena. Questo realismo nella resa espressiva di un momento altamente drammatico vede Raffaello ancora aperto alle influenze della pittura nordica, pittura che fu una delle componenti della sua formazione urbinate. La gestualità espressiva, che sembra precorrere la sensibilità barocca, e stata posta in relazione con alcune incisioni di artisti nordici quali Martin Schongauer, Dürer e Luca da Leida20.
Cristo, nel drammatico momento in cui viene condotto alla morte, bagnato di sudore e di sangue, cade sotto il peso della croce, mentre Simone Cireneo si fa strada tra i carnefici e i soldati armati per aiutarlo. La caduta ha riavvicinato per pochi istanti Gesù alla Vergine, la quale, invano sostenuta dalla pie donne, si slancia verso di lui in un gesto disperato, mentre sullo sfondo già appare il Calvario.
Raffaello dispone le sue monumentali figure ponendo molta cura nella distribuzione dello spazio. Una linea discendente, da destra a sinistra, accompagna e segue l'aumentare della concentrazione emotiva, dai soldati che escono dalle mura di Gerusalemme, fino alle teste, sempre più chine, delle pie donne. Allo stesso tempo questa disposizione delle figure consente una scansione dei piani in profondità, a partire dalla prima figura, che chinandosi lascia spazio alle altre, mentre quelle dietro si alzano progressivamente. La luce gioca un ruolo non secondario: illumina la testa bionda della Maddalena, si riflette sulle lucide armature dei soldati, si diffonde nel paesaggio sullo sfondo; un raggio di sole, infine, colpisce la pietra in primo piano e consente di leggere la firma dell'artista “RAPHAEL UR BINAS”. Lo Spasimo di Sicilia è altamente rappresentativo dello stile di Raffaello negli ultimi anni della sua vita. Un profondo cambiamento stilistico si era già manifestato negli affreschi della Stanza di Eliodoro in Vaticano, dove compare un linguaggio di estrema tensione, con figure energiche e potenti, memori di Michelangelo. La tensione emotiva espressa nella scelta delle luci e dei colori e nell'agitato dinamismo del dipinto raggiungerà risultati estremi nella Trasfigurazione, ultima opera dell'artista.

Note
1
Archivio di Stato di Palermo (ASPa), Notai defunti, not. Pietro Tagliante, reg. 1183, cc. n.n.
2 
Roberto Patricolo Lezione introduttiva alle origini di S.Maria dello Spasimo in Atti del seminario di studio sul complesso Monastico militare di S.M. dello Spasimo Palermo 1987
3
Sulla gancia di S. Barbara, donata nel 1353 dal conte di Adrano Matteo Sclafani al priorato di S. Maria del Bosco, e più in generale sulle proprietà dell’ordine olivetano a Palermo, cfr. G. MENDOLA, Da Calatamauro allo Spasimo: gli Olivetani a Palermo, in L’Abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, a cura di A .G. Marchese, Palermo 2006, pp. 381-410.
4
Nicola Stanzione in http://www.palermoviva.it/santa-maria-dello-spasimo-alla-kalsa/
5
Antonello Gagini fu una delle personalità di maggior rilievo nel panorama artistico della scultura siciliana rinascimentale e riuscì a proseguire il cambiamento stilistico già iniziato dal Laurana e da suo padre, Domenico Gagini, che avevano introdotto nella cultura artistica siciliana le tematiche e i repertori formali della nuova cultura rinascimentale dell’Italia centrale. La particolarità di Antonello fu proprio la capacità di elaborare quel rinnovamento nel contesto di una tradizione locale ispanizzante. Probabilmente grazie all’incontro con Michelangelo durante il soggiorno romano del 1505, l’artista poté arricchire il proprio linguaggio artistico.
6 
Pietro Ales in http://www.pietroales.it/SMariaSpasimo.htm
7
Sulla figura di Antonio Belguardo, M. Vesco, Committenti e capomastri a Palermo nel primo Cinquecento: note sulla famiglia de Andrea e sull’attività di Antonio Belguardo, in «Lexicon. Storie e architettura in Sicilia», 2, 2006, pp. 41-50; F. Scaduto, Antonio Belguardo, in Gli Ultimi Indipendenti. Architetti del gotico nel Mediterraneo tra XV e XVI secolo, a cura di E. Garofalo, M. R. Nobile, Palermo 2007, pp. 181-203.

Fulvia Scaduto, Antonio Belguardo: a master of the late Gothic in Western Sicily and some of his contemporaries, in 1514 Arquitectos Tardogoticos en la Encrucijada Editorial Universidad de Sevilla 2016
9 
Fulvia Scaduto , opera cit.
10
Pietro Ales in http://www.pietroales.it/SMariaSpasimo.htm
11
G.Bellafiore, Palermo . Guida della città e dei dintorni. Palermo 1956
12
cfr. V. SCUDERI, Contributo alla storia dell’architettura del Rinascimento in Trapani, in Atti del VII Convegno di Storia dell’Architettura, Palermo 1956, pp. 296-297.
13
Fulvia Scaduto , opera cit.
14 
G.Leanti, Il quadro dello Spasimo di Sicilia “Panormus” n, N° 3-4, 1920
15
P.G.SorgeLa scoperta dello Spasimo di Sicilia, Caltanissetta 1985
16 
R.A. González Mozo, R. Alonso Alonso, Reflexión ante la restauración del “Pasmo de Sicilia”, in “Boletín del Museo del Prado”, Vol. 29, N. 47, 2011
17 
M.A. Spadaro, Raffaello e lo Spasimo di Sicilia, Palermo 1991
18
C.Gardner , Lo Spasimo di Sicilia in Raffaello in Vaticano
19 
Maria Dolores Jimenez-Blanco, Collezione di Pittura italiana in La guida del Prado pag.236 Museo Nacional del Prado 2016
20 
Maria Dolores Jimenez-Blanco, opera cit.